Milano in comune - Sinistra e costituzione
Vedi anche: ELEZIONI 2021
La pandemia da Covid-19, nella sua drammaticità ha evidenziato insieme alla crisi economica
incipiente la parallela crisi del “Modello Milano”. Con la battaglia condotta dalla “Rete Milano 2030” sul modello sanitario e la gestione della pandemia, si è aperto inaspettatamente in città e per la sinistra “uno spazio” non minoritario, né rinchiuso in sé stesso, né funzionale a progetti di utilizzo opportunistico delle forze dominanti il centro sinistra. Questo spazio politico, non può vivere di rendita, non è eterno e ha un solo nemico: la Sinistra stessa. Le sue pulsioni e contraddizioni, le debolezze nella cultura politica, l’individualismo scevro da ricerca e indagine reale, che producono l’esasperatesi subalterno di sistema della “politica delle alleanze”, così come l’esercizio testimoniale della proposta autonoma ma senza far conto del “punto di vista” delle grandi masse. É bene dirselo, se il dibattito milanese si avviterà sulle antiche strade della “necessità”: battere le destre, l’importante è vincere, non possiamo consegnare la città alle destre, o viceversa resistere, testimoniare, il dibattito finirà molto in fretta con esiti già sperimentati in passato.
Quindi si è obbligati a provare ad elevare il dibattito politico, affrontando in forma pubblica e partecipata il nocciolo duro dei problemi, senza il quale diventa difficile reggere le complessità politiche che si presenterannone i prossimi mesi. Mobilità, ambiente, urbanistica, bilancio comunale, sono gli ambiti strutturali sui quali si fonda e si articola la sostanza della politica amministrativa della città i cui esiti, a 10 anni dall’avvento del centro sinistra, è bene analizzare per trarre quelle indicazioni necessarie ed utili a stabilire a quale orizzonte autonomo guarda la sinistra cittadina.
Molto si è praticamente compiuto con i necessari atti amministrativi: nuovo PGT adottato, linea 4 (in project financing) in costruzione, accordo di Programma sugli Scali Ferroviari, aumento delle tariffe del trasporto pubblico. Tutte queste scelte, organicamente coerenti hanno supportato il “Modello Milano”. La domanda strategica a cui deve rispondere una sinistra autonoma è la stessa presente in tutte le metropoli europee: se la città e i chi la abita diventano merce e il territorio una tavola imbandita, quale alternativa è praticabile?
1 – Dopo il Covid-19 quali priorità economiche per Milano.
La Pandemia ha messo in evidenza, come il “Modello Milano” prodottosi nel dopo Expo, era debole ed effimero, precarietà giovanile, lavori cognitivi sottopagati, lavori dell’economia digitale quasi a livello di caporalato e non normati. Era il modello della finanziarizzazione dello sviluppo urbanistico e del massimo profitto per la rendita. Va detto che questo modello non era scevro da pregi: città di profilo internazionale, afflusso costante di capitali, turismo, terziario a supporto, poli universitari, concentrazione della sanità “a valore” in funzione della “ricerca”. Questi elementi sono stati possibili solo attraverso una politica di privilegio della “rendita” in rapporto al lavoro, concentrazione esasperata degli investimenti “a valore”, una città carissima e diseguale, stipendi al palo da 15 anni, precarizzazione generazionale, difficoltà a costruirsi una famiglia autonoma, affitti e acquisto casa proibitivi, consumo esasperato del suolo a discapito dell’ambiente, immobilismo dell’ascensore sociale.
Come giustamente evidenziano le indagini della Caritas come l’ISTAT, in questo decennio il 10% della cittadinanza di reddito medio, alto e altissimo con disponibilità “liquida” ad investire sulla “rendita, ha visto il proprio reddito aumentare considerevolmente, mentre il 90% della cittadinanza, cioè i ceti meno abbienti, i lavoratori e le lavoratrici privati e pubblici, i/le giovani/e in cerca di prima occupazione, i/le pensionati/e costretti a supportare la prole a tempo indefinito, ha visto la propria capacità di spesa e reddito ridursi considerevolmente. Questo è il primo punto di discussione, quello nodale, una volta si chiamava strategico, dal quale tutti gli altri ne derivano. Nel senso che le politiche amministrative si fanno indirizzando l’uso delle risorse, non solo quelle ovviamente, ma
soprattutto quelle. In una situazione dove le scelte “strategiche”, di questa comunità europea e dei governi succedutesi, sono quelle ancora oggi di ridurre sistematicamente le risorse agli enti locali, che, essendo più vicini alla popolazione, possono essere più condizionabili. Pertanto non sono credibili proposte o impegni elettorali in qualsiasi settore delle relazioni sociali, se non si dichiara in via anticipata quale modello economico si intende perseguire. Non è vero che si governa “per tutti e tutte” ma si governa per l’idea che si propone. L’idea di governo e delle risorse sottende l’idea del chi e a quali settori sociali andranno le risorse. Proprio la scarsità tendenziale delle risorse esasperatesi nel dopo Covid-19 (400/500 milioni di buco finanziario del Comune), rende non mediabile l’alternativa tra un comune proiettato sulle grandi opere ad “alto tasso di finanziarizzazione” (modello nuovo Stadio di San Siro) o verso una intelligente pianificazione di interventi minori, rivolti a meglio plasmare e rendere vivibile la città dal punto di vista sociale, ambientale e quindi relazionale. Si parla sempre di investimenti e lavoro, ma di natura non sempre compatibile con lo sviluppo sociale e del benessere della collettività. Una città per permettere al business di andare sempre più in fretta o una città per permettere ai cittadini e alle cittadine di vivere con migliori servizi sociali, in modo più equo, felice e alla fine anche sicuro? Due alternative politiche e priorità ben distinte.
2 – Le lavoratrici e i lavoratori al centro dello sviluppo
Le lavoratrici e i lavoratori milanesi e dell’area Metropolitana e i ceti popolari, hanno pagato in prima persona il “modello Milano”. Precarietà e lavoro non normato, servizi costosi, sanità semi privatizzata e quella pubblica inesistente nel territorio, case e affitti speculativi che sono stati sacrificati sull’altare dello sviluppo e in funzione della rendita immobiliare. Oggi le diseguaglianze sono più evidenti nelle famiglie popolari, l’acceso alla medicina per la salute dipende dal reddito, pure la DAD (didattica a distanza) non è la stessa di una famiglia borghese. Il reddito diventa discriminante fattiva. La crisi pandemica, mette in evidenza oggi l’accelerazione di alcune tendenze già esistenti. La tecnologia modifica non solo la capacità di erogare un prodotto/servizio, ma anche
il modello di organizzazione del lavoro e come sempre è avvenuto nella storia, questo impatta il territorio e l’insieme delle relazioni umane. L’uso massivo dello smart working (in prevalenza lavoro da casa) nato nell’emergenza, è, specie nel mondo dei servizi, l’esempio della trasformazione in atto.
Solo persone con interessi economici definiti possono pensare ad un ritorno ad una supposta
normalità. Non tornerà più, almeno identico, il modello dei grandi grattacieli uffici, ristorazione e servizi annessi intorno. É realistico invece, pensare che si compenetreranno modelli diversi di lavoro terziario. Lo smart working diventerà strutturato, per ampie parti dell’organizzazione del lavoro anche pubblico e processi di robotizzazione/automazione, in tuti i comparti della logistica che ruota intorno alla città. Saremo quindi investiti dalla rivoluzione dei big-data, e la sfida per le lavoratrici e i lavoratori e per i settori popolari, sarà quella tra subire questo cambiamento o rendersi protagonisti di una nuova “rivoluzione” dei diritti sociali. Cioè se per le lavoratrici e i lavoratori, e non un generico “mondo del lavoro”, diventano protagonisti della normazione delle industrie della “gig-economy”, della regolamentazione dello smart working e dei lavori “flessibili” e infine, riportare l’asse del potere sul lavoratore in “carne ed ossa”. Lo scontro che si apre, avrà conseguenze epocali, del livello prodottosi con l’introduzione della moderna catena di montaggio, cioè tra un lavoro barbaro e subordinato, ripetitivo e alienante, oppure al contendere con i diritti sociali e del lavoro la costruzione di un modello alternativo di società. Anche l’Ente Comune di Milano (la più grande realtà lavorativa milanese) subisce da tempo il passaggio delle esternalizzazioni di funzioni con affidamento all’esterno di servizi essenziali, come per esempio quelli cimiteriali o quelli dei centri di aggregazione giovanile. Una prassi di impoverimento del lavoro dell’Ente Pubblico e di un modello di lavoro “povero” e dequalificato. Si pone qui il tema della reinternalizzazione dei servizi socioassistenziali, così massicciamente delegati al terzo settore, con quanto ne consegue in termini di inefficacia sociale, precarietà lavorativa e costi. Milano, come è sempre stato nel nostro paese, sarà il nuovo paradigma dello sviluppo possibile.
3 – Il dopo Expo: èstato vero sviluppo?
Solo gli stupidi o gli interessati possono sostenere che la sinistra è contraria alle grandi opere perché è contraria al progresso. La realtà è che nella civiltà mondiale si confrontano oramai diversi modelli di sviluppo e la pandemia li ha resi sempre più evidenti. Grandi opere sono anche forti investimenti nelle università e nella ricerca e su questo la sinistra non è mai stata contraria. Non solo perché si ottiene lavoro qualificato, rispetto a lavoro espositivo/commerciale praticato con la politica degli eventi (deregolamentazione, lavoro sottopagato o non pagato etc.) ma perché l’economia nel suo complesso ne avrebbe una spinta propulsiva stabile e non effimera.
Ci sono invece grandi opere, comunque giustificate, nel senso che potrebbero essere anche di per sé giuste, ma che sono invece dannose perché, assorbendo risorse pubbliche, inibiscono le giuste direzioni di spesa. I costosi derivati sulla mobilità prodottasi con Expo, hanno assorbito al centro energie pubbliche, risorse, attenzioni che oggi pesano enormemente. Le due metropolitane M4 e M5, così concepite hanno lasciato pesanti canoni che il Comune dovrà pagare alle due società miste per i prossimi 23 anni, 230 milioni all’anno. Con un bilancio così in affanno, si rischia una ricaduta negativa sui servizi sociali fondamentali. Senza entrare nel merito del perverso sistema pubblico/privato che si è attuato, dove il pubblico mette quasi tutti i denari e il privato gestisce.
Questo Project Financing, ereditato dalla Moratti, si poteva e si doveva evitare, per ritornare a far le metropolitane come intervento totalmente pubblico, come si fece per la M1, la M2 e la M3. Oggi dopo il Covid-19 e le restrizioni necessarie alla sicurezza pubblica, si delinea la pesantezza assoluta della scelta ereditata dalla destra e poi confermata dal centro-sinistra. Milano è una città dove si viaggerà sempre più velocemente (Covid-19 permettendo) ma sempre paradossalmente solo nei confini della città, mentre saremo una metropoli di 3,5 milioni di abitanti, ma con 100 milioni di altri servizi in meno. Considerando anche che la strategia della mobilità sulle lunghe percorrenze dovrebbe passare a una Città Metropolitana, che deve contendere alla Regione e allo Stato le adeguate risorse, invece di ridurre i servizi sociali. Il nuovo futuro sindaco deve dire chiaramente, se la M6 non la farà il Comune di Milano, semmai la farà la Città Metropolitana se avrà risorse “esterne”, che l’epoca delle grandi opere, partorita dall’abbaglio di EXPO, è finita e che la città si dedicherà ai suoi cittadini e alle sue cittadine, partendo da quelli più bisognosi. Una nuova sinistra che ambisce anche al governo della città, può e deve prioritariamente proporre un suo modello culturale e valoriale, profondamente alternativo alla logica mercantilista fin qui prodottasi.
4 – Urbanistica e finanza un intreccio perverso da sciogliere
Il “modello Milano”, che ha plasmato la città, si forma certamente per la mancanza di coraggio politico nel forzare i parametri imposti da governi e dall’Europa, ma anche perché si è interiorizzato l’ideologia secondo la quale si deve sminuire il ruolo del pubblico per favorire quello dei privati. Oggi sul piano regionale, dopo la pandemia, ne vediamo gli esiti nefasti con la distruzione della sanità pubblica. Una scelta costata migliaia di morti.
A Milano il peso ideologico della logica mercantilista, avendo avuto origine nelle grandi opere sulla mobilità, si riproduce come impostazione sulle grandi scelte di trasformazione della città. Così per esempio si favorisce prepotentemente sempre il project financing della Lendlease, quando si tratta di sacrificare la Statale e Città Studi per coprire il nascosto buco finanziario di Expo. Oppure si concede un volume edificatorio dal valore di 1 miliardo alle Ferrovie dello Stato, abdicando a dirigere la trasformazione della città, per favorire un alleato, che, dopo aver acquistato un pezzo di M5, si candida, con ATM, a privatizzare l’intero comparto dei trasporti.
L’uso spregiudicato del mercato finanziario mondiale, l’attrazione benevola di Milano come la nuova “Mecca” dove tutto è possibile -visto che nelle metropoli del Nord Europa i vincoli sono più stretti mentre qui molto elastici -ha la sua spinta nell’esausto bilancio del Comune. Non a caso gli oneri a Milano sono sei volte inferiori a quelli di Amburgo, prima città europea per indice di competitività.
Da noi il futuro ecologico della città è un mantra privo di sostanza, mentre appare prioritario il fare cassa: conseguentemente l’interesse finanziario vede come attrattiva la piazza di Milano. Si assisterà all’enorme trasformazione che sconvolgerà Città Studi fino agli Scali Ferroviari, digerendo la “seccatura” per il vincolo su Piazza d’Armi, passando per tanti altri casi minori, ma non meno eclatanti e simbolici: Parco La Goccia, Piazza Baiamonti, Piazza Carbonari, Parco delle Cave, Ronchetto, fino al recente parco di Via Bassini e quello di Via dei Ciclamini.
Lo stadio Meazza e San Siro: una partita aperta e una partita simbolica. Milan e Inter non sono più due squadre di calcio, ma due veicoli societari tramite i quali due fondi d’investimento stranieri stanno tentando un assalto speculativo nella nuova Mecca internazionale del Real Estate. L’Holding cinese Suining Holdings Group (che controlla l’Inter) e il fondo statunitense Elliott (che controlla il Milan), vorrebbero infatti realizzare accanto al nuovo stadio un distretto alberghiero, uno commerciale ed uno residenziale grazie al raddoppio delle volumetrie previste. Il Comune di Milano dovrebbe dunque perdere il suo stadio per permettere al fondo americano di “valorizzare” il calcio con acquisizioni volumetriche e poi aprire un’asta tra vari miliardari, tra i quali un arabo, un russo e anche un uzbeko? È questo il frutto del “modello Milano” che ha il “pregio” di attrarre chi pensa di avere mani libere in questa città? Il nuovo stadio diventa quindi solo un pretesto per avere il raddoppio delle volumetrie immobiliari, oppure, dopo “adeguata” trattativa un “adeguato” aumento.
Questa poderosa calamita finanziaria ha il “pregio” di vendere un bilocale a City Life a 900 mila euro, ma il difetto di rendere sempre più insopportabili gli affitti nella città per i redditi deboli, e nel post Covid-19 è semplicemente insostenibile e foriero di una futura ed inevitabile “bolla immobiliare”.
Inoltre, il “Modello Milano” dopo il Covid-19 è in carenza del propulsore fornito agli investitori a titolo gratuito. Quel propulsore generato dai grandi eventi, capaci di attrarre l’attenzione mondiale, sostenuti da forti investimenti pubblici (da Expo alle Olimpiadi) e da forti investimenti strutturali, totalmente a carico del pubblico. Un benefit, assai comodo sin qui garantito, per chi viene ad investire a Milano, basato su oneri di urbanizzazione offerti come se la città fosse stata a fine saldi.
La domanda per una sinistra autonoma è se questo modello che premia la rendita a discapito del lavoro sia compatibile con la sua idea di società.
5 – Un PGT da rifare
Il nuovo PGT approvato dal consiglio comunale, rispetto ai precedenti, è un forte salto in avanti nel processo di deregolamentazione della necessaria pianificazione pubblica. La conseguenza è che alla cessione alle scelte privatistiche su 1,2 milioni di mq. come effetto degli scali ferroviari, si aggiungono nuove aree, definite come grandi funzioni urbane, per 1,5 milioni di mq, dove l’urbanizzazione soffocherà le residue aree verdi. Non c’è stato alcun blocco sui ritmi frenetici di consumo di suolo. Si proclama una riduzione del 4% ma ci si riferisce al 4% dell’aumento. Pertanto una insignificante riduzione, visto che nel 2018 sono stati consumati 11 ettari per nuove costruzioni.
Questo è il parere di numerosi e autorevoli urbanisti indipendenti, non coinvolti nel compromissorio ruolo del Politecnico e del business.
Ciò che è poi grave, è che si è aperta la strada alla possibilità di non ottemperare alle quote previste di case popolari, con il meccanismo della monetizzazione a favore delle casse del comune. Così come il tema delle aree dismesse pubbliche e private, a cui potrebbero essere adibite funzioni abitative, aggregative, sociosanitarie, lavorative. Con un comune che favorisce un contenuto di housing sociale a favore dei ceti medi, tralasciando quasi completamente l’impegno per i ceti più disagiati, favorendone implicitamente l’espulsione da Milano città, mentre vi sono ancora 2.000 appartamenti comunali sfitti per mancata ristrutturazione. Un PGT che, per favorire gli investimenti internazionali, punta sulla anti ecologica densificazione, progettando ben 10 nuovi grattacieli per permettere le volumetrie in altezza. Nella sostanza un PGT che favorisce, anche per evidenti motivi finanziari del Comune, l’intensificazione delle costruzioni nel centro della metropoli, con l’inevitabile effetto di espellere dalla città le persone più povere. Una visione totalmente opposta a quella di pianificare l’intera metropoli, prevedendo più centri, ben collegati tra di loro, e una distribuzione non “arroccata” dei ceti sociali privilegiati.
6 – Indebitamento. Oltre ilpatto di stabilità
Dall’epopea Greca all’amministrazione di Milano, quello che emerge è la quasi totale falsità delle cosiddette “regole del gioco”, l’unica cosa chiara è che tutti gli invalicabili sacri parametri sono opinabili. Alcuni limiti pur ci sono, ma all’interno di esagerati eccessi tutte le politiche di indebitamento seguono percorsi politici per nulla tecnici. Tanto è vero che per far fare grandi lavori per miliardi ai grandi gruppi economici, dai quali il Comune rischia forti perdite, ci si ingegna in società miste pubbliche/private/pubbliche per aggirare il patto di stabilità, mentre per sistemare, ad esempio, gli appartamenti sfitti, sui quali gli enti pubblici sarebbero in attivo, la soluzione finanziaria è impedita da “vincoli invalicabili”. Ben sapendo che si è “schiavi” di questi giochi di potere, chi governa una metropoli che rappresenta il 10 % del PIL nazionale non si può limitare a
tiepide proteste una volta ogni tanto. Con il peso della città rappresentata è dovere programmatico del nuovo sindaco mettersi a capo di tutti i comuni coinvolgibili per forzare il patto di stabilità, come controtendenza rispetto all’attuale impostazione liberista di ridurre comunque gli impegni di spesa dei comuni.
Proprio perché il primo passo ci indica dove devono essere spese le maggiori risorse, diventa una precondizione politica, di macroeconomia, agire politicamente verso ogni governo affinché i grandi investimenti, spinti anche dalla BCE e dalla nuova Cassa Deposito e Prestiti, non seguano la sedimentazione bancaria ma siano direttamente orientati e spezzettati verso i comuni, soprattutto quelli virtuosi. Se manca questa azione squisitamente politica tutti gli altri potenziali passi risulteranno per forza rachitici.
È possibile quindi operare affinché i 230 milioni di canoni che ogni anno il Comune di Milano dovrà prelevare dalla sua cassa per pagare le nuove due metropolitane (la M5 e la M4) siano trasferiti allo stato patrimoniale del nuovo ente Città Metropolitana, adeguatamente finanziato dallo Stato e dalla Regione? Attualmente la scelta di prelevare 230 milioni dalle tasche delle cittadine e dei cittadini milanesi, con maggiori tasse e minori servizi, è insostenibile ed è logico che questa insostenibilità si affronti con il trasferimento dei poteri, delle proprietà e degli oneri della mobilità a lunga percorrenza al nuovo ente che deve vivere realmente.
É possibile anche studiare e avanzare proposte, di finanziamento autonomo del Comune attraverso titoli propri, in grado certamente di indebitarsi e sostenere tale onere, specie per attivare forme di solidarietà straordinarie e aggiuntive verso i/le disoccupati/e.
7 – Le case popolari al cuore dell’emergenza casa
A fronte di un’accentuata proiezione di Milano città in una dimensione esclusiva, rimane franoso il dramma della mancanza di case per i ceti più popolari. Nonostante il fatto che un passato più umano ha consegnato al pubblico un enorme patrimonio immobiliare: 29.000 appartamenti di proprietà del Comune e 71.957 unità immobiliari di proprietà di Aler tra città e metropoli.
Da quando il Comune di Milano ha assunto la gestione diretta, tramite MM, delle case di sua
proprietà la situazione è migliorata. Anche se non è stata ancora risolta, dopo 9 anni, la scandalosa situazione degli appartamenti sfitti, per mancanza di ristrutturazione. Una situazione indecente non solo dal punto di vista sociale, anche da quello patrimoniale, in quanto gli affitti coprirebbero in pochi anni tali costi, per cui c’è anche un danno erariale. Ma oltre questa simbolica degenerazione si tratta di prospettare un nuovo grande piano di edilizia popolare, che svolga una funzione compensativa rispetto a una città che si espande per i ceti privilegiati. La constatazione è che si è ancora prigionieri di una visione ideologica, pre-crisi, dove il diretto intervento pubblico viene considerato del tutto secondario rispetto a vari “aggiustamenti” che si possono ottenere influendo sul libero mercato. La questione di una politica di investimento del Comune verso le case popolari è oggi ancora una subordinata negativa rispetto alle priorità accordate agli investimenti per le grandi opere. Conseguentemente, è la cartina di tornasole per capire se vi è la volontà di un cambiamento ed è parte fondamentale di un programma di una nuova sinistra.
8 – Per una vera rivoluzione ambientale
La conversione ecologica della società è oramai all’ordine del giorno, l’aumento sensibile negli ospedali milanesi di malattie polmonari tra bambini e anziani lo sta a testimoniare, così drammaticamente la stessa pandemia da Cavid-19 è la spia di uno sviluppo non più sostenibile.
Bike e Car sharing sono oggi gli strumenti di mobilità sostenibile promosso per aumentare l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici (autobus, tram e metropolitane), integrandoli tra loro nella logica del trasporto intermodale. Milano è oggi all’avanguardia per efficienza e in Italia non ha certamente eguali. Un indubbio e positivo successo politico che cambia anche l’approccio culturale alla mobilità di una parte della popolazione milanese. Oggi però questo modello pre Covid, è anch’esso in crisi e andrebbe ripensato, ma per farlo occorre un ridisegno strategico del modello di sviluppo e dubitiamo che gli artefici del “modello Milano” abbiano la volontà politica per un simile impegno.
Le trasformazioni serie sono quelle che non vivono di illusioni, ma possono cambiare le tendenze negative, si possono basare solo su un imponente piano metropolitano per la mobilità. Un piano che come nelle metropoli più sviluppate, preveda “autostrade per le biciclette”, reti di strade integrate per la mobilità dolce e poli metro-tranviari, così come la sperimentazione di livelli sempre più estesi di gratuità per l’uso del trasporto pubblico, che deve divenire realmente “bene pubblico” sostenuto dalla fiscalità generale. Un piano talmente ambizioso da non poter essere più caricato solo sul Comune città di Milano, ma deve avere come intelaiatura giuridica di supporto la Metropoli Milano con poteri regionali. La città di Milano infine, non ha più bisogno che la sesta metropolitana passi nuovamente per ben due volte nel centro, con l’unico scopo di valorizzare ancora le stesse aree. A Milano città il trasporto in superficie ha molti modi, meno costosi, per essere potenziato. Il vero bisogno strategico è il fortissimo potenziamento metropolitano, pesante e leggero, nelle destinazioni periferiche, per drenare il traffico privato che si riversa sulla città.
9 – Città Metropolitana, Municipi e Regione: solo nuova macchina burocratica?
Mobilità, urbanistica, casa sono solo tre dei tanti campi dove si evidenzia la necessità di un’unica e potente impostazione operativa, capace di coinvolgere 4 milioni di abitanti (compresa la Brianza) e non solo una cerchia cittadina troppo ristretta e soffocata. Né più e né meno come le città europee con le quali ci si confronta non alla pari: Berlino, Parigi, Londra. Se si affronta, per esempio, il decisivo terreno della sanità è evidente che solo lo scorporo dalla Regione Lombardia può permettere un futuro più pubblico, dove gradualmente ma decisamente, abbiano sempre più spazio le eccellenze ospedaliere pubbliche e si riducano le quote di mercato degli ospedali privati. Se poi si vogliono affrontare le trasformazioni economiche, con le crisi e le incentivazioni alle innovazioni, come la cultura, lo sport, in generale tutto il welfare, il discorso non cambia.
Dopo il Covid-19 e dopo decenni nei quali si è cercato di dimostrare che le dinamiche di mercato avrebbero creato un radioso futuro, nella generale crisi che stiamo attraversando, è fondamentale dimostrare che le strutture pubbliche possono funzionare a dovere e non solo nell’emergenza. Dopo la trasformazione della Provincia in Città Metropolitana si è però accentuata una grave crisi gestionale. Infatti la Città Metropolitana, svuotata di risorse e poteri in parte trasferiti alla Regione, è diventata un ectoplasma senza passato e futuro. Inoltre il Comune di Milano ha dovuto, per legge, costituire i 9 Municipi, al posto delle zone. Ma sotto gli occhi di tutti questi municipi sono diventate scatole senza alcun potere operativo, come hanno i Comuni nell’hinterland di Milano. Nella sostanza si è creato un groviglio di poteri, reali o presunti, che si sovrappongono creando un’enorme confusione burocratica e appesantimento operativo. Per cui in molti campi decisionali, soprattutto quelli strutturali e decisivi, si assiste a un confronto/scontro tra quattro livelli burocratici. I 9 Municipi di Milano, la Città di Milano, la Città metropolitana e la Regione Lombardia. Pensare di poter fare trasformazioni radicali di questa metropoli, con questa sovrapposizione operativa è irrealistico. Nasce quindi la necessità storica, specie dopo la crisi del Covid-19, di ripensare profondamente l’assetto in forma Metropolitana di Milano, con un ritorno dello Stato nella direzione della sanità e la strutturazione dei poteri regionali che tengano conto come nel resto d’Europa dell’assetto e poteri delle aree metropolitane.
10 – Per una coalizione rosso-verde. Per una nuova proposta di città.
Dopo la riconferma della ricandidatura del Sindaco Sala e i quasi cinque anni di opposizione in consiglio comunale con la coalizione “Milano in Comune, non possiamo che riconfermare la nostra opposizione a questa amministrazione. Un’opposizione sempre costruttiva, mai preconcetta, sempre basata su proposte alternative. Dialogante sui diritti civili, sull’accoglienza della popolazione migrante, ma ferma a contrastare un modello di sviluppo cittadino diseguale. Non vediamo in questo centro sinistra cambiamenti idonei a un nostro ripensamento. Il costante richiamo alle Olimpiadi 2026, la mancanza di ripensamento sul PGT ne sono le spie più evidenti. Pensiamo pertanto sbagliati e improduttivi gli orientamenti della sinistra “responsabile” che si raccoglie intorno a LEU. Abbiamo insistito in questi lunghi mesi, anche nel lavoro comune con “Milano 2030”, per un orientamento autonomo, che proiettasse una sinistra unita non a “condizionare” un centro sinistra, ma a contendergli il campo a partire della più grande crisi mai vissuta dalla città con la pandemia in corso. Così abbiamo insistito, con le aree ambientaliste e con i Verdi, affinché si passasse dalle declamazioni ambientaliste ai fatti e per un programma comune. Costatiamo purtroppo il prevalere di personalismi, tatticismi, carrierismi e subordinazione ideologica a questa
amministrazione e al PD come partito di riferimento. Un’amministrazione sostenuta da una “narrazione” dei ceti medio alti, beneficiari della rendita immobiliare e speculativa, che rende le disuguaglianze come costo accettabile della città, a cui cedere briciole compassionevoli, da far elargire ai centri caritatevoli laici e cattolici.
Noi diciamo se non ora quando? Quando una sinistra popolare ritorna a rivendicare, non la compassione per i “poveri” e per le persone anziane dei ghetti delle case popolari, ma la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno fatto grande questa città? Ora, nel pieno della peggior crisi della città, dell’implosione di interi comparti economici (ristorazione, eventi, fiere), della disoccupazione che falcidia le famiglie e i/le giovani, della trasformazione del lavoro, della crisi ambientale, la sinistra deve saper rappresentare un punto di vista autonomo. Per questo perseveriamo, nella costruzione di una coalizione rosso-verde, con chi partiti, associazioni, comitati e singoli, che vorranno costruire tra pari un diverso progetto di città. Se questa proposta non trovasse le basi sufficienti, “Milano in Comune” sarà nuovamente la piattaforma, la proposta politica di raggruppamento per una sinistra autonoma. Continuiamo dunque una battaglia iniziata cinque anni fa, che trovò consenso e consegnò alla sinistra purale e autonoma, la responsabilità dell’opposizione di sinistra.
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione di Milano
Milano, 25 gennaio 2021