Milano in comune - Sinistra e costituzione

AMBIENTE

Per una città rinnovata, umana e giusta, che sappia rispondere alle esigenze dei cittadini e dell’ambiente

UNO SGUARDO GENERALE SULLA CITTA’

“Abstract”
Dopo molti anni di governi cittadini di destra, Milano è ritornata alla sinistra con Giuliano Pisapia. La svolta è stata “morbida”, la città ha continuato a crescere secondo modelli neoliberisti e consumistici e, a fronte di una crescita del reddito medio, sono incrementate le differenze socioeconomiche tra i suoi abitanti. La crescita del lavoro precario legato al terziario e ai servizi ha visto aumentare in modo considerevole i nuclei familiari con redditi bassi o bassissimi. Il costo delle abitazioni e il costo della vita collocano Milano tra le città più care d’Europa, rendendo ancora più povera un’alta percentuale della popolazione che ha visto calare il potere d’acquisto del proprio reddito da lavoro. La città è ai vertici nazionali per il tasso di povertà; tasso accentuato anche dalla crisi a seguito del coronavirus. Alle decine di migliaia di persone in povertà estrema va in aiuto un gran numero di associazioni di volontariato. I ceti a basso o bassissimo reddito sono schiacciati nei quartieri marginalizzati e delle estreme periferie; quartieri che necessitano di forti interventi sociali e strutturali se si vuole evitare che degradino a livello di “slum” americani. Questa situazione socioeconomica si riflette sui livelli di istruzione e sulla cultura della città, dove l’istruzione è sempre più di classe e la grande offerta culturale ha visto ridursi il numero delle persone che possono accedervi.
L’elevato traffico di mezzi automobilistici e la scarsità di verde urbano rendono Milano una delle città più inquinate e malsane d’Europa. E’ agli ultimi posti per verde pro-capite, necessita di un vasto recupero di aree verdi e di un radicale intervento di piantumazione: quello previsto incrementerà il verde di 1 mq a testa. Pur con una certa efficienza e un certo grado di ospitalità a livello nazionale, non viene considerata una città ospitale a livello internazionale.
L’offerta per i giovani sembra ridursi prevalentemente alla vita passiva dei locali della “movida”, mentre sono scarse le strutture nelle quali essi possano aggregarsi liberamente in attività sociali, culturali, sportive. Non esiste una “città dei giovani” e nell’ambito sportivo la città è una delle più povere d’Europa, sia per l’attività sportiva di base, sia per lo sport di vertice e i Giochi del 2026 accentueranno questa contraddizione.
Il Coronavirus ha contribuito a mettere a nudo la città e i limiti del Piano di Governo del Territorio, licenziato nel 2019, il quale necessita di una seria revisione per una città del 21° secolo realmente a misura d’uomo.

Milano è stata governata dalla destra dal 21 giugno 1993 al 1° giugno 2011. Sono rimaste indelebili inerzie negative nella città, prima fra tutte l’abbandono della vocazione sociale che l’ha caratterizzata dal 1946 in poi. Giuliano Pisapia entrò a palazzo Marino nel giugno 2011. Fu eletto entusiasticamente al governo della città dal popolo della sinistra e progressista, da buona parte di quel mondo cattolico che a Milano è sempre stato su posizioni sociali. In campagna elettorale per la prima volta si fecero manifestazioni unitarie a sostegno di una candidatura a sindaco. Ma poi Pisapia non ha saputo imprimere una svolta significativa al modello di gestione della città, non ha strutturato quel confronto con i cittadini e le forze sociali che era nel programma e che avrebbe potuto inaugurare la nuova stagione democratica milanese. Portò a termine quanto programmato dalle giunte di destra (non sempre doveroso), ma non diede segno di discontinuità proprio nei settori dove quelle giunte non erano intervenute, lasciando campo libero per il governo progressista a quelli che avrebbero potuto essere interventi innovativi per una città a misura d’uomo nel 21° secolo.
Beppe Sala, dopo Pisapia, sulla spinta dell’Expo si è insediato in piena continuità con concetti e scelte che, se da un lato hanno accentuato l’immagine scintillante della città, sull’altro versante non hanno contrastato l’abbassamento della qualità della vita di gran parte dei cittadini e l’accentuazione delle differenze tra ceti benestanti e meno abbienti, tra centro e periferie. Milano si è infatuata della “new skyline” dei grattacieli – ultima trovata il grattacielo-faro di Piazza Trento -, dei negozi del centro che attraggono i nuovi arricchiti dall’Est europeo e asiatico, ma ha lasciato decadere la “cerchia delle periferie”.
Ha inseguito un concetto vecchio di modernità, poiché ha inteso come moderno tutto ciò che è appariscente e consumistico, che in realtà la colloca in coda alle città virtuose per quanto riguarda le esigenze reali dei cittadini, per l’incremento della povertà, e il rapporto con l’ambiente.
Nel marzo 2019 è stato approvato il Piano di Governo del Territorio (PGT) Milano 2030. In esso diversi punti analitici che descrivono la situazione della città sono condivisibili, ma sia l’analisi che gli obiettivi, esposti in modo piuttosto generico forse per esigenze di sintesi e col peggior stile pubblicitario, presentano numerosi elementi critici. Il PGT cita solo marginalmente i complessi aspetti problematici della città, inaspriti con la pandemia da Covid (imprevedibile nel 2019). Esso, peraltro, si avvale di alcuni dati statistici datati che hanno ridotto il loro significato a seguito degli effetti del coronavirus, i quali hanno portato ad assoluta priorità i problemi socioeconomici. Il PGT si basava sulla previsione di una crescita socioeconomica lineare della città, non aveva contemplato l’eventualità di una crisi sociale come quella prodotta dal Covid ed è ragionevole supporre che a seguito di questa crisi sia necessaria una sua revisione.
L’analisi critica dello stato della città e dell’operato dell’Amministrazione sono i prerequisiti dai quali partire per l’elaborazione di un progetto di città futura coerente con le esigenze di una società nella quale siano rispettati i diritti dell’uomo e dell’ambiente.
Milano in Comune, con la sua analisi critica e le sue proposte, si pone come luogo di convergenza di tutte le energie intellettuali e delle forze sociali democratiche e progressiste che vogliono essere soggetti attivi in questo processo di costruzione di una Milano del 21° secolo a misura d’uomo.
Milano non rientra tra le 20 città più vivibili in Europa del rapporto di ECA International, i cui indicatori della classifica sono: “disponibilità di servizi sanitari, abitazioni e servizi pubblici, solitudine, accesso a un social network, strutture per il tempo libero, infrastrutture, clima, sicurezza personale, tensioni politiche, qualità dell’aria.” Il rapporto afferma anche che “Inoltre, le città del Nord Europa come in Scandinavia, nei Paesi Bassi e in Svizzera, hanno eccellenti collegamenti di trasporto, un elevato standard di assistenza sanitaria e stabilità politica a lungo termine, che fanno si che i lavoratori stranieri possano ambientarsi facilmente in queste località.”
Se ECA International ha indicatori per il bene dei cittadini, i parametri considerati dal Sole 24 Ore sono in parte diversi, specie come priorità, e coerenti con un’idea affaristica della società. Il “Sole” elenca nell’ordine i seguenti elementi di giudizio: “ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografia e società, cultura e tempo libero, giustizia e sicurezza.” A livello globale Milano si colloca oltre il quarantesimo posto come vivibilità. In sostanza, Milano ancora non è pronta per la sfida del 21° secolo.
In questi ultimi anni Milano si è posta al vertice di alcuni settori economici, quali la moda, il “design”, il mondo espositivo e fieristico, la finanza, ma senza che ad essi ci fosse collegata una adeguata produzione materiale a livello locale. Con la riduzione delle fabbriche è calato il lavoro stabile, il quale non è stato compensato quantitativamente e qualitativamente dall’espansione del terziario e in particolare dei settori che si avvalgono in larga parte di lavoro temporaneo e precario. A seguito dell’Expo e della crescita dei settori sopra citati, Milano ha sviluppato un turismo internazionale di livello medio-alto. La crescita del terziario, della finanza e degli altri settori, ha prodotto un incremento dei redditi medio alti, trascinando l’incremento del costo generale della vita della città. In questo quadro di trasformazione sociale si sono accentuati i divari tra redditi alti e redditi bassi, tra centro e periferia, divari che devono essere ridotti in modo consistente in tempi brevi per una città più civile e umana.
Le periferie, dimenticate e comunque poste in secondo piano, sono il contraltare all’attenzione dell’Ente locale per le zone di insediamento dei nuovi centri di sviluppo e dei luoghi scintillanti della città. In molti casi i quartieri sono tornati alla condizione di dormitori: un ritorno agli anni ’60, ma con molti problemi in più di ordine sociale ed economico. L’ex assessore alle politiche sociali Majorino, in evidente polemica col modo di fare del Sindaco, ebbe a dire nel 2018: “Basta con la sinistra a parole, nelle periferie non si fa turismo” … “la questione non si può ridurre a qualche scampagnata con tanto di telecamere al seguito” (L’Espresso, 13 agosto 2018).
Il problema delle abitazioni è una delle cause che concorrono all’incremento della povertà. Lasciando la città in mano alle “regole” di mercato, si è permessa una forte speculazione nel settore. Si sono raggiunti prezzi proibitivi nelle zone centrali e medio-centrali, con la conseguente espulsione da esse di numerose famiglie non proprietarie e il trascinamento dei prezzi anche delle abitazioni in periferia, dove i ceti popolari sono sempre più schiacciati entro i confini dei loro quartieri periferici.
La questione abitativa va affrontata in modo radicale, come sarebbe di diritto per i cittadini e necessario per la situazione sociale della città. A Milano ci sono decine di migliaia di appartamenti liberi, di proprietà sia pubblica che privata, ma si continua a costruire nuove case consumando suolo.
“Quasi 7.200 case popolari vuote: 3.356 del Comune e 3.839 dell’Aler. Case da sistemare, ristrutturare, alcune da vendere. In tutto, gli alloggi popolari di Milano, la città col patrimonio di edilizia pubblica più esteso d’Italia, sono circa 58 mila, quasi 35 mila di proprietà Aler e 23 mila del Comune. Uno su otto, ad oggi, è sfitto” (Corriere della Sera, 13 ottobre 2020). La situazione è fuori controllo e la macchina pubblica è lenta a intervenire, per cui è fiorente un mercato di subaffitti e occupazioni controllato da cosche. Sul mercato libero ci sono poi oltre 70.000 appartamenti che a causa dei prezzi molto alti per molti non è possibile affittare o acquistare.
Le nuove abitazioni, anche a “edilizia convenzionata”, hanno prezzi inaccessibili alla maggior parte dei cittadini, con cifre che superano ampiamente i 3.000 € al mq. Per questa ragione molti sono andati ad abitare a decine di chilometri dalla città, dove spesso i prezzi sono inferiori del 50% o più, ingrossando l’esercito dei pendolari. E’ solo per speculazione che, a parità di standard costruttivi, a Milano le case costano più del doppio che a Lodi o 3 volte di più che a Cremona.
La speculazione degli alloggi si riversa anche sugli studenti che devono pagare prezzi salatissimi, spesso in nero, per una stanza in affitto presso privati. La soluzione del problema non è negli “studentati”, che stanno crescendo come funghi consumando suolo, ma nel contenimento dei prezzi. A maggior ragione con la didattica a distanza che per lo studio universitario risolve il problema di molti studenti.
Peggiore è la sorte degli immigrati. In migliaia alloggiano ammassati anche in sei – otto persone in una stanza pagando in nero centinaia di euro agli strozzini.
“L’alleggerimento” della macchina comunale, vale a dire la riduzione dei dipendenti per ridurre le spese dell’Amministrazione, ha prodotto la riduzione dell’intervento pubblico in numerosi settori, nonché dei controlli nei confronti anche di tante forme di illeciti e speculazioni.
A Milano non c’è la necessità di costruire case nuove, il problema è di rendere accessibili quelle che già ci sono a chi ne ha bisogno. Per questo occorre una rigorosa politica abitativa che operi in modo efficace in alcune direzioni principali: rapidità nelle ristrutturazioni e nell’assegnazione delle case di proprietà comunale e Aler, efficacia dei controlli sul diritto alla casa di proprietà pubblica, serie politiche di contenimento dei prezzi delle abitazioni private, sia di quelle esistenti sia di quelle di nuova costruzione.
L’abbassamento del livello di qualità della vita dei ceti a reddito medio basso a Milano è più accentuato che nelle altre città del centro-nord. Questi ceti sono composti prevalentemente da anziani con pensioni minime, da una quantità sempre maggiore di immigrati che svolgono mansioni a bassi livelli salariali, spesso precari e in nero, giovani con lavoro precario e a basso livello di istruzione.
Parallelamente incrementano le persone nella povertà, spesso assoluta, per le quali non è possibile parlare di “qualità della vita”: senza casa (circa 5.000), disoccupati (7,2% dopo la prima fase del coronavirus), molti stranieri residenti (277.773 su 1.396.059 abitanti nel 2019, il 19,9% della popolazione), immigrati irregolari colpiti dalle leggi di Salvini, anziani con pensione sociale, circa 3.600 nomadi. Da oltre un ventennio la povertà in Milano è costantemente cresciuta, come pure la marginalità estrema, nonostante la città si collochi ai primi posti in Europa per produzione e reddito “medio”. Se il reddito medio è cresciuto, ma sono calati i redditi bassi, significa che sono aumentati i redditi alti e che cresce enormemente il divario tra ricchi e poveri, come confermato dalla Caritas Ambrosiana (rapporto del 28 ottobre 2020).
Nel PGT Milano 2030, si afferma che” La rinnovata capacità milanese di volare sui rami alti dei processi di sviluppo non deve però far velo ai problemi che accompagnano tali trasformazioni e che rischiano di acuire i divari economico-sociali e territoriali”. I rischi paventati in quel documento sono diventati una realtà che impone di rivedere sostanzialmente il piano di sviluppo della città.
Con la pandemia la povertà è incrementata ulteriormente: “Colf e rider, artigiani che campavano grazie a lavori in nero e camerieri rimasti senza lavoro. Un esercito di nuovi poveri che ha bussato alle porte della Caritas Ambrosiana nei mesi dell’emergenza coronavirus, in aumento anche dopo la fine del lockdown. Nella sola Diocesi di Milano, ricevono beni alimentari 16.500 famiglie, cinquemila a Milano. Prima della pandemia nel capoluogo lombardo erano 2.500. Un esercito di nuovi poveri che ha bussato alle porte della Caritas Ambrosiana nei mesi dell’emergenza coronavirus” (il Giorno, 1 luglio 2020).
Ecco cosa dice il rapporto della Caritas Italiana del 17 ottobre 2020: “I lavoratori più colpiti sono stati quelli impiegati nei settori della ristorazione (lavapiatti, camerieri), ospitalità (custodi, cameriere ai piani) e della cura alla persona (colf e badanti)”. Analizzando il campione, aggiunge la nota della Caritas, emerge il profilo degli “impoveriti da Covid”. Le donne sono il 59,3%, gli immigrati il 61,7%. La fascia di età maggiormente rappresentata è quella tra i 35 e i 54 anni (58,4%). La maggioranza (55%) è costituita da coniugati, da persone con bassa scolarità (62,9%). I disoccupati rappresentano il 50%, gli occupati il 34%. “Proprio quest’ultimo dato – è il commento – è il più rilevante. Infatti, mentre tra gli utenti dei centri di ascolto i titolari di un contratto di lavoro sono in media un quinto (nel 2019, il termine di paragone più vicino, erano il 19%), durante il lockdown sono saliti a un terzo (33,4%) per lo più a causa del ricorso al sistema di aiuti della Caritas da parte degli occupati titolari di cassa integrazione”.
Il “significativo aumento” dei cassaintegrati “è dovuto, da un lato, al ritardo con cui sono arrivati gli indennizzi, dall’altro dagli importi modesti delle stesse indennità calcolate su stipendi base troppo scarsi rispetto al costo della vita soprattutto nelle aree metropolitane della diocesi”. Ad essi si aggiungano le migliaia di persone che si servono dei servizi sociali, delle varie opere benefiche quali, Pane Quotidiano, Opera San Francesco e dell’aiuto dei Centri Sociali. Una città nella città, che sarebbe invisibile se non ci fossero le code di poveri sui marciapiedi. Pane Quotidiano consegna più di 3.000 pasti al giorno; dall’Opera san Francesco lo scorso anno sono stati forniti 66.000 docce, 740.000 pasti, 10.000 cambi d’abito, 35.000 visite mediche; Casa Jannacci ha distribuito più di 500 pasti al giorno; poi docce, servizio medico, cambio di vestiti.
Milano cambia volto, cambiano gli stili e i ritmi di vita e con essi nascono nuovi lavori, ovvero nuove povertà. E’ il caso dei “riders”, 2500 nuovi poveri che gradatamente prendono coraggio e impostano lotte per i diritti come lo sciopero contro il sindacato di destra UGL, che ha firmato un contratto peggiorativo non riconosciuto dai lavoratori. Allo stesso tempo il confinamento (lockdown) il lavoro agile (smart working), l’annullamento delle varie fiere, esposizioni, settimane dedicate a moda, progettistica, design, ecc, hanno svuotato il centro cittadino e messo in crisi i settori del commercio, della ristorazione e alberghiero e molti lavoratori, già a basso reddito, sono caduti nella povertà.
La privatizzazione di molti servizi ai cittadini, l’incrementato delle tariffe comunali, la mancanza di una politica abitativa atta a ridurre affitti e costi delle case con l’impossibilità per molti di trovare alloggio, il prezzo dei biglietti dei mezzi di trasporto, le difficoltà ad accedere al servizio sanitario, gravano maggiormente sui ceti a basso reddito sommandosi alla riduzione dei redditi da lavoro.
Il blocco della città provocato dal coronavirus ha messo a nudo gli errori delle scelte privatizzatrici di molti servizi sociali: senza le migliaia di volontari che hanno aiutato le decine di migliaia di persone in difficoltà la città sarebbe collassata. Col coronavirus è venuta alla luce la categoria degli “invisibili”, quelle persone alle quali non si è fatto caso e che hanno vissuto nell’emarginazione: persone senza casa, vecchi soli e con pensioni neppure sufficienti alla sussistenza, persone senza assistenza.
Siamo d’accordo con l’Assessore Rabaiotti quando dice che“Dobbiamo riconquistare la possibilità di una azione pubblica degna di questo nome, che possa tornare ad esprimere la sua forza, la sua efficacia e a riaffermare la sua necessità. Certo servono forme e modelli nuovi, nuove regole del gioco, forse, anche, l’abilitazione di nuovi attori. Proseguire sul sentiero tortuoso e già tracciato senza questa consapevolezza significa portare l’azione pubblica al fallimento, esporla all’accusa avendola resa impotente. Una responsabilità grave se siamo convinti che solo l’azione del pubblico è la garanzia alla tutela dei più deboli e all’accesso universale ai diritti.
Già prima, ma specialmente ora, è chiaro che anche a Milano siamo di fronte ad un processo di impoverimento che in una società di differenze colpisce diversamente il corpo lasciando le ferite più profonde sulla parte più fragile e quindi aumentando le distanze e le diseguaglianze già presenti. Vista da questa prospettiva, pur parziale, l’azione di welfare non può essere indifferenziata, uguale per tutti, ma ha bisogno di contrastare queste diversità risultando opportunamente sbilanciata, squilibrata, secondo quello che viene indicato come un percorso di ‘discriminazione positiva’ che consegna di più a chi ha di meno.”(vita.it, 27/10/2020 – gli evidenziamenti sono dell’intervistato)
Condividiamo pienamente quanto affermato da Rabaiotti, che però sembra una voce nel deserto, e dobbiamo fare in modo che i rischi da lui paventati non si verifichino, magari con una svolta a sinistra dell’amministrazione.
La pubblica Amministrazione deve essere il luogo nel quale si concretizza il processo di garanzia dei diritti inderogabili dei cittadini. Tale azione riceve più forza se si sviluppa sinergicamente con le realtà organizzative costituite dai cittadini. Per attivare questo processo non ci devono essere timori, bensì la fermezza che deve giungere dalla consapevolezza dei diritti costituzionali.
Il lavoro a Milano nell’ultimo quarto del 20° e in questo inizio del 21°, ha cambiato la sua natura, passando da prevalentemente produttivo industriale a prevalentemente terziario in modo più accentuato rispetto al resto del Paese. Molte produzioni sono state delocalizzate (anche in provincia o regione), molte aziende continuano a trasferire le sedi, sicché molti lavoratori si sono trovati e si trovano nella necessità di compiere lunghi trasferimenti per recarsi sui luoghi di lavoro. Le grandi aziende hanno esternalizzato a un indotto “forzato” e a sedicenti “cooperative” di piccole dimensioni alcune produzioni e servizi che erano parte integrante dell’azienda primaria.
Frantumato così in mille rivoli, il lavoro vede ridurre i diritti contrattuali e quindi le garanzie di stabilità di reddito e sociali per i lavoratori e le loro famiglie. Alcuni dati illuminano in merito (Il Lavoro a Milano, edizione 2019).
In Lombardia le assunzioni nel 2018 sono state 259.158 a tempo indeterminato; 1.059.509 a tempo determinato e stagionali; 60.117 di apprendistato.
A Milano nel 2016 risultavano 1.914.567 lavoratori. I residenti in città erano circa 883.000, per cui quotidianamente arrivavano dall’esterno più di 1 milione di persone con percorsi che spesso superano le due ore giorno (oltre il 30%). Così il lavoro si prende almeno 11 ore al giorno compresa la pausa “fast food”: più che a inizio secolo scorso, quando si lavorava 10 ore ma si abitava a due passi dalla fabbrica.
I Lavoratori giungono da altre province (da 118.300 nel 1991 a 142.800 nel 2011), o da altre regioni (da 8.800 nel 1991 a 161.600 nel 2011) – significativo che il sito del Comune pubblichi ancora i dati qui riportati, risalenti al 2011-, utilizzando in gran parte mezzi privati. La rete dei trasporti interurbani è inefficiente e insufficiente, non ha saputo rispondere all’incremento della domanda, per cui è diventato sempre più urgente un suo sviluppo allo scopo di soddisfare le esigenze, in primo luogo dei lavoratori, e ottenere due grandi benefici: riduzione del traffico e miglioramento della qualità ambientale.
Per quanto riguarda le dimensioni delle aziende di Milano, Brianza e Lodi, Il 79,1% ha meno di 10 dipendenti, il 12,5% ha da 10 a 49 dipendenti, l’1,9% da 50 a 249, lo 0,3% 250 dipendenti o più. Le imprese non artigiane con dipendenti ne hanno in media 19,8 (Rapporto 2018). Benché i dati sulla stabilità del lavoro siano leggermente migliori rispetto ai dati medi del Paese, c’è da considerare che Milano è la città col costo della vita più elevato in Italia, e quindi a parità di salario il potere d’acquisto di un lavoratore dipendente milanese risulta molto più basso.
Con il lavoro precario strutturale in alta percentuale, a fronte dei bassi salari dei dipendenti, sono più elevati gli utili delle aziende e quindi aumenta il divario sociale.
Gran parte del lavoro a basso reddito è svolto dai lavoratori stranieri: nella città metropolitana circa l’84,9% lavora nei servizi, il 6,2 % nelle costruzioni e l’8,8% nell’industria (Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, “La presenza dei migranti nella città metropolitana di Milano”, 2018). Gli stranieri, che in Lombardia sono l’11,7% della popolazione, versano l’11,2% delle tasse da lavoro dipendente (Rapporto immigrazione 2019).
Una delle maggiori “industrie” di Milano è quella delle Badanti e delle Colf. Si tratta di un esercito di circa centomila persone, la maggior parte delle quali con lavoro nero o “grigio”. Molte non vogliono regolarizzare il rapporto di lavoro perché la Bossi-Fini non renderebbe loro i contributi nel caso in cui rientrassero nel Paese d’origine.
Le cooperative di servizio hanno acquisito molte delle funzioni che erano direttamente svolte dal Comune: servizio alle persone, mense scolastiche, pulizie delle strutture comunali, prescuola e doposcuola. La stragrande maggioranza dei lavoratori di questi settori ha contratti a tempo determinato, a orario ridotto e con paghe orarie basse o spesso da fame.
Ad essi si aggiungano gli addetti allo spostamento dei rifiuti nei quartieri popolari e nei condomini senza portinaio, gli operai addetti alla manutenzione del verde, ecc. In merito allo sfruttamento da lavoro, una delle ultime notizie sullo stato del lavoro a Milano ci informa che nella costruzione della linea 4 della metropolitana ci sono lavoratori pagati 4 Euro all’ora.
Il dato nazionale sul lavoro dei migranti fornisce un quadro che dovremmo considerare con attenzione e mettere ben in risalto:“I due milioni e 455mila immigrati che nel 2018 erano regolarmente impiegati in Italia, valgono 139 miliardi di euro (il 9% del Pil, più dell’Ilva), versano tasse e contributi generando introiti che ammontano a 25 miliardi di euro, una cifra superiore a quella che lo Stato spende per farsene carico. Sono una forza lavoro indispensabile, soprattutto nel settore della cura e dell’assistenza domiciliare, dove la loro incidenza supera il 70% del totale, ma che di fatto viene penalizzata per una mancanza ormai pluriennale di quote dedicate a ingressi effettivi di lavoratori stranieri stabili all’interno dei cosiddetti ‘decreti flussi’. E’ la fotografia scattata da Assindatcolf, Associazione Nazionale Datori di Lavoro Domestico e da Idos, Centro Studi e Ricerche, autore del Dossier Statistico Immigrazione 2019”. L’8,8 %, che rendeva il 9% del PIL: in proporzione più degli italiani.
La malavita organizzata ha una delle sue principali attività nel commercio, attività che in città è cresciuta in modo straordinario. Quasi raddoppiati dal 2011 bar gelaterie, pizzerie, il commercio è terreno primario delle cosche. E’ quanto ha affermato il Tribunale di Milano nel rapporto annuale e la Confcommercio, il cui vicepresidente nel 2017 diceva:”Su questo lo diciamo chiaramente: bisogna stare attenti, nel nostro settore c’è chi fa del business investendo i profitti di attività parallele, è un passaggio che si vede e sui cui bisogna controllare” (La Repubblica, 18 agosto 2017). L’elevato costo dei locali commerciali è un impedimento all’iniziativa individuale mentre la grande disponibilità di denaro delle mafie permette loro di acquisire locali pagandoli prezzi molto elevati. Così i prezzi si mantengono alti e si rende quasi impossibile l’iniziativa individuale e dei giovani. Si ha dunque un connubio perverso tra cosche e proprietari degli stabili che a Milano gioca in favore del malaffare. La possibilità di assumere con contratti precari e in nero (cosa per la quale molti non si fanno certo scrupoli) moltiplica i guadagni. Le varie “movide” milanesi sono possibili grazie a una miriade di giovani con contratti precari e spesso in nero o “grigio” favoriti dalla scarsità di controlli.
Molti locali sono intestati a prestanome. Inoltre, dice sempre la Confcommercio, nei primi cinque anni di attività c’è una “mortalità” del 50% di questi locali. Questo dato espone migliaia di persone a un’estrema precarietà.
Non passa giorno che a Milano non si scoprano interessi mafiosi. Essi hanno facile gioco proprio grazie alla possibilità di assumere con lavori precari e alla grande disponibilità di persone che hanno bisogno di un lavoro. Con la crisi dovuta al coronavirus, la malavita organizzata sta avanzando in modo inesorabile nel settore.
E’ necessario che nella città si attivino adeguati strumenti di controllo del Comune, dello Stato, delI’Ispettorato del Lavoro, sui flussi di denaro, sulla miriade di piccole imprese che si avvalgono di lavoratori precari, sulle persone che avviano le attività commerciali, sulle assunzioni del personale. La città deve anche effettuare una politica di contenimento dei prezzi dei locali e favorire le attività avviate da giovani.
La povertà riduce e colpisce la cultura. Con l’aumento della povertà si abbassa il tasso di istruzione (a Milano più che in tutto il paese) e si riduce anche la popolazione attratta da interessi culturali. Alcuni dati sulla demografia milanese ci permettono di comprendere cosa accade. Nel 2019, su 1.378.689 abitanti, il 20% erano stranieri, il 12,9% persone di età da 0 a 14 anni, 12,9% di età superiore ai 75 anni. In sostanza, per ragioni sociali, anagrafiche o culturali avremmo oltre il 40% della popolazione con scarse possibilità di accogliere la proposta culturale della città. Anche ammesso che tutti i Milanesi di origine italiana siano interessati alla cultura (presupposto che sappiamo non vero), la popolazione potenzialmente attratta da essa si ridurrebbe a circa 800.000 persone. Si comprende, quindi, che i 104 teatri abbiano difficoltà, nonostante ci siano le programmazioni per studenti che vanno a teatro al mattino con le scuole. Lo stesso ragionamento si può applicare per il cinema, per musei e mostre, anche se per questi ultimi arriva in soccorso il turismo. L’abbassamento del livello di istruzione e la crescente povertà colpiscono tutta la ricca proposta culturale di Milano.
L’innalzamento del livello di istruzione della popolazione è lo strumento principale per la vita culturale della città. L’Ente locale è determinante per l’efficacia della formazione nella scuola primaria, che rappresenta la base imprescindibile per tutto il percorso formativo della persona, perciò essa nella prima fase deve essere garantita ai massimi livelli qualitativi. Il Comune deve fornire strutture e servizi scolastici di qualità, che sono determinanti per elevare il livello qualitativo della scuola e della didattica. Le associazioni culturali, i teatri periferici, devono ricevere adeguati sostegni dall’Ente locale affinché possano svolgere il loro prezioso ruolo culturale e sociale.
Ma è da molti anni che con l’evoluzione socioeconomica della città vediamo scendere il livello dell’istruzione e della formazione culturale a partire dalla scuola primaria. Nei quartieri periferici si concentrano gli immigrati e i ceti con maggiori problemi sociali, e per tali ragioni molte famiglie italiane portano i loro figli in scuole private o collocate in quartieri non “problematici”. Da anni è tornata in modo rilevante la tendenza verso scuole “di classe”, con Istituti del centro sempre più per benestanti, che abitano in centro e con famiglie istruite, e scuole periferiche per ceti meno abbienti e meno istruiti.
Il degrado socioculturale dei quartieri di periferia non è un fenomeno correlato all’immigrazione, di oggi come degli anni ’60, è bensì correlato alle modalità con cui i Governi nazionale e locale intervengono nei confronti degli immigrati.
La lunga tradizione solidaristica e sociale di Milano deve tornare a caratterizzare l’operato di un Comune realmente progressista. Forme adeguate (umane) di accoglienza, assistenza, formazione del senso civico e culturale, possibilità di fruire dei servizi, prevenzione delle forme di sfruttamento, sono gli strumenti affinché ceti meno abbienti e immigrati possano inserirsi a qualunque livello della società e dare il loro contributo per il bene di tutti.
Sembra che i giovani abbiano nella cosiddetta “movida” la principale proposta aggregativa da parte dell’Amministrazione, ma la realtà è che non ci sono gli spazi entro i quali essi possano vivere una vita di autonoma aggregazione. L’esigenza di una vita sociale e culturale non consiste solo nel sedersi a un tavolo con un gruppo di amici. L’assenza di luoghi messi loro a disposizione dalla città tende a creare la passività. Era inevitabile che in questa situazione sorgessero molti centri sociali di giovani che vogliono vivere in spazi autonomi dove creare aggregazione sociale, forme di creazione culturale, di attività sociale, politica e sportiva. Questi giovani sono stati tra coloro che hanno dato il un grande contributo ai cittadini che il Comune, a causa della struttura che si è dato, non era in grado di assistere durante il periodo del “lockdown” del coronavirus. E ancora lo stanno facendo in questa seconda fase di pandemia.
Lo sport è una delle principali forme di accoglienza, crescita e aggregazione sociale giovanile ed è, con la scuola, il principale luogo di prevenzione del degrado socioculturale giovanile. Ma anche in questo settore la città è retroguardia e non ha saputo elaborare una politica atta a permettere allo sport di svolgere al meglio queste funzioni. Specialmente nelle periferie le società sportive di base, delle quali bisogna riconoscere il ruolo sociale, svolgono un lavoro insostituibile per la crescita dei giovani, ma devono affrontare costi elevati per l’utilizzo delle strutture sportive comunali. Questi costi sono coperti dalle rette dei soci, delle famiglie, che spesso fanno fatica a farvi fronte. In molti casi sono le società sportive a proporre quote associative agevolate, o ad accogliere gratuitamente i giovani.
Le strutture sportive con libero accesso in aree verdi e nei quartieri sono scarse e in genere in stato precario. C’è poi lo sport nelle palestre scolastiche e nei centri sportivi dove da un lato le palestre scolastiche usate da molte società sportive hanno tariffe elevate, dall’altro il Comune si è liberato dell’onere della gestione degli impianti sportivi comunali dandoli in gestione ad Associazioni o Enti di promozione, o Federazioni sportive, attuando di fatto una privatizzazione di queste strutture.
La concezione dello sport dominante nel Comune di Milano è quella privatistica, dove le palestre private sono l’aspetto più evidente e prevalente della proposta sportiva per giovani e adulti nella società attuale. Ma questa concezione, pur lecita, ha un grande difetto: vede il cittadino passivo intellettualmente. I giovani, iscritti alle associazioni che svolgono campionati e tornei, sono soggetti attivi che nello sport hanno un mezzo di importante formazione della personalità, delle capacità organizzative, relazionali e sociali. Il Comune dovrebbe favorire principalmente questa seconda concezione dello sport.
La questione dello stadio di San Siro è sintomatica della miopia dell’Ente locale nello sport d’alto livello. Il Comune teme di perdere i circa 10 milioni all’anno pagati dalle società di calcio. Sala avrebbe voluto superare indenne le elezioni per poi tornare ad accordi con Milan e Inter e lasciar costruire una struttura “vecchia” nella concezione, un grande raccoglitore in cemento e vetro di consumisti dello sport. Ma San Siro è tornato d’attualità: le squadre di calcio vogliono una delibera prima delle elezioni in modo da vincolare qualsiasi Giunta successiva.
E’ bene ricordare che il vecchio San Siro è stato inaugurato nel 1926 e tra pochi anni potrebbe essere monumento storico.
E mentre si perde tempo in questa contesa, si dimentica che Milano è la città europea più povera di strutture sportive d’alto livello. Dopo i Giochi del 2026 ci saranno 4 palazzi del ghiaccio ma mancheranno stadio olimpico (che potrebbe essere il secondo stadio della città, ma polivalente), piscina olimpica, palazzetto dello sport, velodromo, ecc. Ma specialmente mancheranno quelle strutture sportive di base a libero accesso che permetterebbero a molti giovani ed adulti di praticare una sana e libera attività sportiva. Lo sport è il principale strumento di garanzia della salute e prevenzione del decadimento psicofisico. Colmare queste carenze è un obiettivo che deve porsi una città che vede la funzione sociale e culturale dello sport e ha a cuore il benessere dei cittadini.
La salute a Milano è una garanzia costituzionale che sta diventando sempre più un privilegio. La privatizzazione della sanità, avviata da Bassanini e perseguita con l’avallo dei Governi di qualunque colore, messa in pratica dai Governi regionali di destra a partire da Formigoni, proseguita con Maroni e ora con Fontana, ha elargito montagne di denaro alla sanità privata impoverendo e indebolendo la sanità pubblica. Durante la pandemia gli ospedali privati si sono messi a disposizione in ritardo e a malincuore. I padroni della sanità privata, che della salute dei cittadini hanno fatto il mezzo di profitto, hanno dato il loro apporto a fronte di notevoli guadagni. Anche con le donazioni ci sono differenze di classe: I ricchi hanno fatto donazioni generose agli ospedali privati (San Raffaele in testa) pochi hanno donato agli ospedali pubblici. Inoltre, con la privatizzazione della sanità sono diminuiti i diritti dei lavoratori del settore. Ecco cosa dice il segretario nazionale del CIMOP (Confederazione Italiana Medici Ospedalità Privata): “mentre si assiste ad una ricerca di medici da parte della protezione civile, ben 45 aziende private mettono i medici a riposo in FIS o cassa integrazione, medici con un contratto scaduto da 11 anni e con una retribuzione troppo bassa. Una primizia italiana amarissima”(Sanità Informazione, 5 maggio 2020).
In questo quadro, nella perdita del senso del Diritto da parte degli Italiani e con la paura di reclamarlo da parte degli immigrati, non c’è da meravigliarsi se nel nostro Paese i Diritti Costituzionali diventano sempre più fonte di guadagno per i ricchi a discapito dei poveri. La Costituzione è al servizio dei cittadini, non del profitto; è un principio di cui tutti devono essere consapevoli e di cui devono esigere il rispetto.
Le lotte per la sanità pubblica, in testa quella del Comitato san Carlo e San Paolo e di Medicina Democratica contro la chiusura dei due ospedali, dei medici di base che devono avere tutti gli strumenti per lavorare – vaccini compresi -, dei giovani laureati ai quali lo Stato rinvia alle calende greche la specializzazione e che vogliono lavorare in un sistema sanitario che funzioni e sia per tutti, devono vedere il sostegno e una mobilitazione costante dei cittadini e chiare prese di posizione del Comune. Non solo, il Comune può fare scelte che possono contribuire a garantire la sanità per tutti, come la messa a disposizione di spazi per le associazioni che operano in ambito sanitario.
E mentre nel silenzio dell’Ente locale si attacca la sanità pubblica cittadina, cresce a velocità strabiliante il nuovo ospedale privato all’Expo: “32.836 m3 di calcestruzzo autocompattante, oltre 80.000 tonnellate di componenti solidi e 200 tonnellate di additivi liquidi. I numeri parlano chiaro: il nuovo Istituto Ortopedico Galeazzi è entrato ufficialmente nei libri dei record, qualificandosi attualmente come la più grande piastra di fondazione d’Europa. … Il nuovo ospedale Galeazzi si svilupperà verticalmente – 16 piani previsti – e raggiungerà i 90 metri di altezza, per una superficie complessiva di 150.000 m2” (dal sito MAPEI). Un mostro di cemento dei soliti noti: Gruppo San Donato, Galeazzi, Sant’Ambrogio. Iniziato nel 2019, sarò pronto entro il 2023.
A fronte dei grandi affari sulla sanità favoriti dalla Regione Lombardia, in grave crisi è la medicina di base, i cui medici sono insufficienti. La Regione li ha abbandonati durante la pandemia ed è emersa in tutta la sua drammaticità la situazione sanitaria lombarda. Al meeting di C.L., lo scorso agosto, il leghista Giorgetti, (anche la sua famiglia ha problemi con la giustizia) braccio destro di Salvini, in estrema sintesi del “pensiero” leghista sul tema disse che la sanità di base non serve più. Ma la risposta oltre che dall’Ordine dei Medici è arrivata dai fatti, ma non sono bastati.
La Regione Lombardia, oltre ad essere la causa dell’area col più alto indice di contagio Covid al mondo, ha continuato a servire la sanità privata e ha addirittura invitato a servirsi dei laboratori privati per i prelievi dei tamponi. Infine s’è aggiunto lo scandaloso sistema dei vaccini influenzali, con la Regione ha distribuito pochissimi vaccini ai medici di base, nella distribuzione ha messo per ultimi gli anziani che sono le persone più a rischio e molti cittadini non saranno vaccinati. Non bisogna avere timore di dire che si tratta di un atteggiamento criminale. A dicembre inoltrato mancano i vaccini per la stragrande maggioranza della popolazione. Non ci deve essere alcun timore di dire che l’incapacità di Fontana e Gallera produce effetti criminali.
In questa città, alle decine di migliaia di “invisibili” senza reddito o con pochi euro per arrivare a fine mese, che vivono della carità, non inserite negli elenchi anagrafici del Comune, che non possono godere del servizio sanitario nazionale, il diritto alla salute sancito dalla Costituzione lo garantiscono il NAGA, la Casa della Carità, l’Opera San Francesco, l’Ambulatorio Medico Popolare, l’Associazione Medici Volontari, Casa Jannacci e altri ancora.
La città che si è sempre considerata all’avanguardia assomiglia sempre più agli USA, dove i diritti delle persone sono direttamente proporzionali al conto in banca.
L’opera di queste organizzazioni potrebbe essere sviluppata in strutture polifunzionali per assistenza e consulenze, messe a disposizione dal Comune nei quartieri, affinché tutti i cittadini possano fruirne con facilità.
Milano non è una città “biocompatibile”, neppure nella progettazione del suo futuro. Per molti anni è andata in senso contrario alle esigenze inderogabili del recupero di un rapporto equilibrato con l’ambiente. Che si dovesse andare in una direzione diversa dello sviluppo globale fu già dichiarato dal “Club di Roma” nel 1972 e pubblicato con “I limiti dello Sviluppo”. Quell’analisi è poi stata ribadita in modo sempre più inconfutabile e allarmante dai vari organismi internazionali che si occupano delle problematiche ambientali. Ma lo sviluppo della città, nonostante il PGT, manca di un reale progetto di un futuro nel quale convivano un’idea di uomo libero dalle forme consumistiche della vita e un rapporto equilibrato e rispettoso dell’ambiente. La città è andata sempre più caratterizzandosi per una serie di fattori negativi: assenza di una politica di equilibrio ambientale a lungo termine, consumo di suolo e cementificazione, abbandono delle periferie al degrado sociale e ambientale, assenza di un reale programma di riduzione dell’auto in città e di una politica dei trasporti interurbani per le persone e le merci e di una seria revisione della viabilità, assenza di un reale piano di mobilità leggera o, come dice il PGT, “mobilità dolce”. Gli atti quali la dichiarazione dell’emergenza ambientale e climatica del maggio 2019, l’adesione del Consiglio comunale allo sciopero mondiale per il clima del 24 maggio dello stesso anno e l’approvazione del Piano Aria e Clima (PAC) dell’ottobre successivo, sono in aperta contraddizione con quanto realmente sta facendo questa Amministrazione. E infatti il 24 giugno 2019 Sala e Fontana esultarono come due tifosi da curva alla decisione del CIO di assegnare i Giochi Olimpici invernali del 2026 a Milano e Cortina: altro cemento sulla città per Giochi inutili, ai quali seguiranno strutture e infrastrutture con relative varianti del PGT. E costi economici tutti da calcolare.
Milano è con Roma la città che consuma più suolo in Italia (rapporto ISPRA 2019). A Milano si continua a costruire nonostante ci siano decine di migliaia di appartamenti liberi, e la corsa alla “new skyline” ha consumato milioni di metri quadrati di terreno per costruire i nuovi grattacieli di aziende che hanno abbandonato gli edifici nei quali si trovavano e nonostante ci fossero già milioni di metri quadrati di edifici liberi destinati al terziario. L’incremento dell’indice di edificabilità massima fino al 20%, previsto dalla Legge Regionale, 18/2019 viene criticato dal Comune perché non si pone la finalità di rigenerazione del territorio. Ma allo stesso tempo lo accoglie per alcune aree “ad elevata accessibilità”. Nel contempo critica il fatto che questa Legge riduca gli oneri di urbanizzazione, dai quali, afferma l’Assessore Maran, dipendono numerosi servizi. Milano dipende dunque dagli oneri di urbanizzazione: se non si edifica non ci sono entrate. E in questo percorso entra il grattacielo-faro di piazza Trento, dove andranno i 1500 dipendenti di A2A. E l’attuale sede che fine farà? Accadrà, come in tanti altri casi, che sia data in pasto alla speculazione immobiliare.
Per la disponibilità di verde è la penultima in Lombardia e la 72a in Italia con 17,9 mq a testa, mentre come “ecosistema urbano”, che tiene in considerazione verde, isole pedonali, alberi, nel 2018 Legambiente la collocava al 32° posto e al quartultimo per la qualità dell’aria. La piantumazione di 3 milioni di alberi prevista con Forestami è anche apprezzabile, ma in alcuni aspetti effimera e comunque non sufficiente a invertire il peggioramento della qualità dell’ambiente se non si sviluppa un piano globale che preveda interventi su traffico, consumo di suolo, riconversione a verde di aree dismesse, riconversione energetica. Se si osservano gli obiettivi e le linee strategiche di Forestami, stride la forte incoerenza tra quanto scritto sulla carta e la realtà.
C’è inoltre da rilevare il pessimo livello della manutenzione del verde e dell’ambiente in generale: tagli di alberi effettuati in modo “barbaro”, con frese che sbrindellano le piante, scarsa o nulla rimozione dei rifiuti che vengono tagliati con l’erba, molti luoghi periferici che sono delle autentiche discariche. Se il Comune ha assegnato ad aziende esterne la cura del verde, ha il dovere di controllare il loro operato. Deve inoltre garantire la bonifica e la pulizia dell’ambiente su tutto il territorio comunale. Deve garantire il rispetto delle aree verdi e agricole che hanno anche un grande valore culturale per la loro storia e i numerosi edifici storici presenti e attivarsi per la loro valorizzazione.
L’inquinamento dell’aria costa migliaia di vite: a Milano sono oltre 500 all’anno e nel 2018 sono state 52.300 le morti premature in Italia a causa dell’inquinamento atmosferico (Agenzia Europea per l’Ambiente, 2020). “Tutte le città lombarde risultano insufficienti rispetto ai limiti previsti dall’Oms. Fanalini di coda sono Milano e Como – voto 0 – che nei cinque anni considerati non hanno mai rispettato nemmeno per uno solo dei parametri il limite di tutela della salute previsto dall’Oms” (Legambiente, Rapporto Mal’Aria 2020). L’aria è resa irrespirabile dalle decine di milioni di automezzi che ogni anno passano per la città (sul tratto Milano Brescia sono circa 36.500.000, di cui circa 11 milioni sono mezzi pesanti), che fanno di Milano e della Pianura Padana le aree più inquinate d’Europa (Agenzia Europea dell’Ambiente). Durante il periodo di “lockdown” e il blocco del traffico, con l’olfatto si è sentito il profumo dell’aria, con l’udito abbiamo colto la scomparsa dell’assordante rombo di fondo, con la vista abbiamo colto che l’aria era trasparente: Abbiamo capito quale debba essere la qualità dell’ambiente nel quale dovremmo vivere. Non occorrono pandemie per vivere in modo eco compatibile, ma una riprogettazione generale dell’organizzazione dei trasporti delle merci e delle persone. Si deve aggiungere l’inquinamento da riscaldamento, che è più pesante, per il quale Milano è la seconda in Italia col 72% di emissioni (dati 2017). Ciò rende necessario e urgente un intervento di riconversione energetica degli edifici della città. L’Italia è uno dei pochi paesi dove l’inquinamento cresce, in compagnia di Romania, Bulgaria, Polonia, Croazia, Repubblica Ceca.
Ma a parte alcuni “rami secchi” di piste ciclabili, Milano non ha provato a ridurre il traffico e per la qualità dell’aria, Forestami, pur valida, sarà largamente insufficiente.
Superata l’estate, col ritorno della pandemia in agguato e nonostante tutti gli allarmi lanciati dagli scienziati, la gente è tornata al lavoro e gli studenti a scuola ammassati sui mezzi di trasporto che non sono stati incrementati, per cui molti tendono ad utilizzare il mezzo privato con un peggioramento del traffico e dell’inquinamento. Per il trasporto studenti, sia col primo che col secondo “lockdown” ci si poteva avvalere in via transitoria delle centinaia di pullman privati presenti nel territorio, dando sollievo sia alle ditte coinvolte sia al trasporto pubblico.
Il Comitato tecnico scientifico del Governo ha dovuto accettare l’imperativo della politica (leggi Amministratori locali, sindaci, Governatori regionali) che a sua volta ubbidisce all’economia (leggi Industriali, Finanza, Commercianti), e ha dovuto affermare che la capienza dei trasporti pubblici poteva essere portata all’80% della capacità. L’Assessore Granelli ha detto (radio popolare, 1 settembre) che “per garantire la sicurezza in ogni fermata della metropolitana c’è un dispencer di disinfettante”. Si, ha detto UNO (una nota interessante: nella replica serale dell’intervista, Radio Popolare ha tolto questa frase pronunciata nell’intervista al mattino). E’ forte l’impressione di essere presi in giro. I risultati di questa “politica” sono sotto gli occhi di tutti, con la situazione pandemica che ricalca quella della prima parte dell’anno, il Sindaco già nel primo periodo di pandemia ha parlato e agito in modo inopportuno. Col ritorno ampiamente previsto del coronavirus la Giunta non sa cosa fare; il Sindaco, forse perché teme di perdere voti, nonostante i numeri drammatici del contagio esprime pareri negativi nei confronti dei provvedimenti governativi e insegue Fontana. Si creano soluzioni che rattoppano un tessuto che ormai non regge più. Anche da queste situazioni emerge che occorre un profondo cambiamento nel futuro Governo della città.
I collegamenti extraurbani previsti dal PGT sono insufficienti. Occorre un piano strategico che sviluppi sulle grandi direttrici e in tempi rapidi le linee metropolitane extraurbane le quali devono giungere a distanza dalla città. Milano ha alzato il prezzo del biglietti del tram mentre in Europa, con una scelta strategica lungimirante già applicata da alcune città, si tende ad andare verso mezzi pubblici gratuiti. Tutte le strade devono diventare percorribili con biciclette. Le piste ciclabili devono svilupparsi con un fitto reticolo in tutta la città. Lo stesso vale per il trasporto merci: occorre un progetto rigoroso che riduca il trasporto su gomma con una intensificazione di quello su rotaia.
L’antica viabilità milanese richiede scelte lungimiranti da parte dell’Amministrazione. Il cuore urbano ha una viabilità medievale, e la città, “pensata” nel ‘900 e durante il boom industriale per ammassare tanta gente nei quartieri popolari e riempire le fabbriche, non è stata capace neppure di pensare al futuro prossimo: se si voleva che i cittadini usassero l’auto privata dovevano esserci strade adeguate. Milano invece ha strade piccole e tortuose nel centro antico, e i corsi con basolato (vale a dire fatto con lastre di marmo o pietra) in gran parte sconnesso (“una volta” era perfettamente manutenuto e piano), pericoloso e impraticabile per i ciclisti. I marciapiedi sono per lo più stretti e con diversi corpi ingombranti: pali della luce, cartellonistica e, da un ventennio, sempre più numerosi spazi occupati dai locali della “movida”. Nel periodo estivo è raddoppiato lo spazio occupato dai bar sui marciapiedi: per andare incontro ai commercianti colpiti dal coronavirus il Comune ha concesso 2.380 licenze gratuite per complessivi 60.000 metri quadrati, a fronte dei 78.000 occupati fino a primavera. Occupazioni di marciapiedi che, secondo la volontà comunale (Maran), dovranno diventare permanenti. Spesso l’ingombro e l’intralcio per i pedoni e per le carrozzine sono notevoli.
Con questa viabilità è molto difficile trasformare Milano in una città a misura d’uomo: tutto sembra fatto per intralciare pedoni, persone con difficoltà di movimento, biciclette, monopattini. Anche le strade asfaltate, fatte decisamente al risparmio, si erodono in tempi brevi, non hanno un’adeguata manutenzione e diventano pericolose.
Alla rivisitazione della viabilità urbana deve corrispondere un intervento particolarmente approfondito sui trasporti pubblici urbani e, in particolare, interurbani. La “mobilità dolce” deve realmente diventare la caratteristica della città la quale, non essendo di grandi dimensioni, ben si presta ad essere percorsa per i più svariati tragitti.
A seguito della pandemia da Covid, come previsto dalle “Cassandre” tutto è peggio di prima. Nei periodi di crisi sociale o economica gli imprenditori ricattano governi e lavoratori, mentre questi ultimi, se non adeguatamente organizzati e rappresentati, diventano più deboli e su di loro si riversano le crisi. Con questa crisi Milano ha mostrato il suo volto peggiore.
La tranquillità sociale che sembra caratterizzare la città è solo apparente e rischia di essere effimera se il l’Amministrazione comunale non saprà affrontare i gravi problemi che attanagliano sempre di più “l’altra città”, quella marginalizzata nella periferia. Molto elevato è il rischio che si creino delle “banlieu”, degli “slum”, che esplodano tutte le contraddizioni dei luoghi dove vivono le persone male accolte, senza speranza e con tanta rabbia, dei tanti che si sentono traditi dalla terra promessa.
Ma come in poche altre città, a Milano c’è una straordinaria risorsa di cultura politica democratica nella miriade di associazioni e comitati. In larga parte nel legame col territori essi hanno sostituito il ruolo di stimolo, formazione culturale, sociale e politica e di organizzazione dei cittadini che storicamente fu dei Partiti del ‘900. Proposte culturali, aggregazione giovanile, sport e tempo libero, ambiente, trasporti, ecc.. Comitati su singoli temi e problemi; non c’è campo nel quale l’associazionismo democratico non sia presente, attivo e propositivo. Il loro ruolo è stato determinante durante il lockdown primaverile. Essi rappresentano la componente più attiva e fertile della vita democratica della città, che va ascoltata e sostenuta.
I Municipi dovrebbero essere i luoghi nei quali poter rendere oggettiva la partecipazione democratica alla gestione del territorio con la partecipazione dei cittadini e delle varie forme di associazionismo. La riduzione delle vecchie venti Zone ai nove Municipi grandi come città di medie dimensioni, ha di fatto pressoché annullato sia il decentramento amministrativo sia la partecipazione dei cittadini.
Allo stesso tempo la cancellazione della Provincia e la sua sostituzione con la Città Metropolitana hanno portato caos amministrativo tra entità comunale e metropolitana. E’ evidente che si renda necessario rivedere i rapporti tra le due strutture amministrative.
Milano è una città che richiede un profondo ripensamento. La situazione generale, la tendenza della sua evoluzione secondo un modello sempre più liberista, i bisogni sempre più impellenti dei suoi cittadini, pongono in evidenza l’assoluta necessità di una Forza politica nella quale possano riconoscersi i cittadini e tutte le istanze democratiche di ordine politico e associativo che reclamano la piena realizzazione dei diritti costituzionali, una vita rispettosa della dignità di tutti, un progetto di città futura a misura d’uomo.
Milano in Comune è nata unendo le forze di alcune realtà politiche e associative che vogliono trasformare la città in un luogo nel quale si possa vivere nel pieno rispetto della dignità dell’uomo e dell’ambiente. In questa direzione ha operato negli ultimi quattro anni ed è aperta ad accogliere con pari dignità il contributo di tutte le realtà sociali e politiche, di tutti i cittadini, che hanno i loro obiettivi nel perseguimento dei Diritti Costituzionali.
Crediamo che gran parte dei cittadini Milanesi possano avere in Milano in Comune il riferimento per il rispetto dei loro diritti e il riconoscimento delle loro battaglie per una città migliore.

Dicembre 2020
Milano in Comune – Municipio 5