Milano in comune - Sinistra e costituzione
Forse siamo a metà del blocco, a un mese dall’inizio, a qualche settimana dalla fine per ora prevista. Può essere un buon momento per provare a fissare qualche riflessione su quello che è successo e su quanto succederà, ovviamente nella prospettiva di chi guarda il mondo alla luce di valori progressisti.
Non hanno bisogno di parole la situazione surreale in cui ci siamo trovati e l’inaspettata necessità di fronteggiare così drammaticamente la realtà della morte. Partiamo invece dal radicale cambiamento della vita quotidiana, dall’obbligo di stare a casa, da chi ha perso il lavoro, da chi ha dovuto continuare ad andarci (pensiamo a chi lavora nelle fabbriche, nei supermercati, nel settore delle pulizie). Ricordiamoci che la malattia colpisce in modo indistinto, la crisi no: ancora una volta sono stati esposti i più deboli, i meno tutelati. Di questo “la sinistra” si è accorta e, fedele alla propria missione, lo ha denunciato con forza.
Dove c’era una situazione di fragilità la crisi è esplosa, per esempio nelle carceri, per i precari, per le donne in situazioni di difficoltà, per i migranti. Per queste realtà servono misure strutturali, che siano di aiuto nella quotidianità, oltre che nell’emergenza. Ancora una volta, bisogni denunciati da tempo dai progressisti, insieme alla necessità di non far pagare la crisi ai più poveri e alle persone in difficoltà. Sono state proposte soluzioni a livello nazionale ed europeo e sono stati lanciati molti appelli condivisibili che hanno raccolto le firme più autorevoli del nostro mondo.
Sono riemersi valori e battaglie tradizionali. Abbiamo riscoperto (forse una platea più ampia degli addetti ai lavori) che la sanità pubblica serve, perché è quella che ci assicura servizi essenziali anche quando non sono redditizi. La sanità privata non si occupa del settore delle emergenze, perché non è redditizio, eppure è essenziale. Ricordiamocelo quando si vanta l’eccellenza dei sistemi sanitari di Lombardia e Veneto (che infatti hanno chiesto in modo quanto mai confuso misure restrittive, forse perché temevano che il tanto decantato sistema non reggesse). In molte realtà il sindacato e gli strumenti della contrattazione collettiva hanno permesso di difendere chi lavora dalle pretese insensate di quelli che una volta si sarebbero definiti padroni.
Non sembra invece che ci siano state particolari riflessioni (se non in modo sparso) sui cambiamenti degli stili di vita e su quello che potrebbe diventare un massiccio trasferimento dalla vita reale a quella digitale (per la verità, già in corso, ma drammaticamente accelerato dalla situazione). Su questo Milano, centro di grande innovazione ma anche città con le sue logiche, può senza dubbio intervenire, e chi si propone di governarla deve rifletterci e farsene carico.
Per guardare al mondo del lavoro, i più fortunati (chi svolge una professione “intellettuale”, non fisica, e ce ne sono molti a Milano) hanno potuto lavorare in home office, da remoto. Su questo, una considerazione: molte aziende non erano preparate, figuriamoci la PA. Bisogna valorizzare le aziende che innovano e che investono sulla formazione tecnologica; ugualmente bisogna adeguare la PA. Bisogna ripensare tempi e spazi della vita cittadina, senza dimenticare le difficoltà di chi, pur lavorando da casa, ha dovuto conciliare la vita lavorativa con quella familiare. Per rendere possibile anche a queste persone godere dei vantaggi dell’innovazione sarà necessario pensare nuovi strumenti di welfare, partendo dal livello comunale.
In un altro campo tradizionalmente caro alla sinistra, sono state chiuse per prime scuole, università, musei e cinema. Forse – quando riprenderemo la vita culturale, ad andare al cinema, a teatro, nei musei – dovremo riflettere se la nostra società considera queste attività essenziali, quale grado di importanza assegniamo loro, e quali sussidi prevedere per aiutarli nella ripresa e stabilmente.
Su scuole e università, una breve considerazione: è giusto che si attrezzino per la didattica a distanza, per utilizzarla in altre situazioni di emergenza o in casi limitati. La vita, soprattutto dei ragazzi e delle ragazze, è fatta di fisicità, di emozioni e di relazioni, utili anche per l’apprendimento (“chi non si è mai innamorato di quella del primo banco, […] che rideva sempre, proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole, gli stessi respiri del libro che leggevi di nascosto sotto il banco”, per citare la nota canzone). La didattica telematica non può sostituire quella tradizionale.
Altro tema, che si accenna soltanto: quello dell’innovazione e della padronanza delle tecnologie, la diffusione virale delle notizie false, le psicosi collettive, il controllo, la protezione dei dati, e la necessità di dare a tutti (e non solo ai giovani) le competenze per gestire questo incredibile potenziale. Forse dovremo riscoprire il trovarsi insieme, il vicinato, la partecipazione, la vita di quartiere come soluzione anche alla distanza dalla realtà che le tecnologie creano. E anche nuovi strumenti di democrazia (a proposito, tutte le scelte di questo periodo sono state in mano alla politica, ricordiamocelo quando sentiamo dire che la politica è inutile, che costa troppo, ecc.) e per la formazione.
Con riferimento a queste sfide Milano può certamente giocare un ruolo, e questi temi possono diventare parte della discussione in corso in vista dell’elezione comunale che si avvicina; su questo varrebbe la pena di aprire anche una riflessione partecipata da tutta la cittadinanza. Tuttavia, per quelli cui piace alzare lo sguardo dalla propria piccola realtà, pur importante, occorre forse fare anche una riflessione più ampia.
Milano è il perno di un sistema molto più ampio, quello della Regione Lombardia, un sistema di potere che ben conosciamo, gestito da troppi anni da forze che ne hanno fatto un uso sconsiderato, realizzando politiche che sono l’incarnazione dei valori opposti a quelli progressisti. I difetti e le contraddizioni di questo sistema sono esplosi in modo netto (e data la situazione drammatico) nell’emergenza attuale e lo spettacolo dato dalla classe politica lombarda è stato ed è vergognoso.
Non è giunto il momento di mettere fine a quel sistema? Cosa aspettano le forze politiche che non si riconoscono in esso a costruire con coraggio e generosità una Lombardia progressista? Si sta presentando con estrema nettezza la necessità di superare i piccoli conflitti di partito per lavorare a un progetto ampio e plurale per la Regione. Perché non trasformare l’elezione comunale di Milano del 2021 nella prima occasione per muoversi in questa direzione?
Paolo Fumagalli