Milano in comune - Sinistra e costituzione

AMBIENTE

8 anni di amministrazione di centro-sinistra. Tiriamo qualche somma?

Mobilità, ambiente, urbanistica, bilancio comunale, partecipazione sono ambiti strutturali sui quali si fonda e si articola la sostanza della politica amministrativa della città i cui esiti, a 8 anni dall’avvento del centro-sinistra , è bene analizzare per trarre quelle indicazioni necessarie ed utili a stabilire quale strada intraprendere oggi in vista del prossimo turno elettorale per le amministrative.
Mancano solo 20 mesi.

Molto si è ormai dispiegato con i necessari atti amministrativi: PUMS, nuovo PGT adottato, linea 4 (in project financing) in costruzione, Accordo di Programma sugli Scali Ferroviari, aumento delle tariffe del trasporto pubblico.
Tutte queste scelte, organicamente coerenti in ciò che gli stessi artefici definiscono come il Modello-Milano si legano fra loro e raccontano una ben determinata azione amministrativa che ben traduce nella pratica i dettami del moderno liberismo: la città diventa merce il territorio una tavola imbandita.

Mobilità, il caso delle metropolitane

I peccati originari, impostati dalla Moratti, realizzati da Pisapia e sostenuti da Sala, si chiamano M5 e M4.
4 miliardi d’investimenti che hanno decretato un inaccettabile modello di sviluppo per la realizzazione di asset strategici del TPL, basato sulla subordinazione degli interessi pubblici a quelli privati.
Posto che nessuno è contrario a dotare la metropoli di adeguate infrastrutture per una mobilità veloce, è fondamentale però porsi il tema delle scelte di fondo: dove e come si fanno e come si finanziano.

Dove e come si fanno? Un milione di auto entrano ogni giorno in città, questo fenomeno accade da oltre un decennio senza alcun segnale di inversione di tendenza.
Alla luce di questo fatto, nel 2014, Giunta Pisapia, la priorità non sarebbe dovuta essere un’ulteriore metropolitana da far passare nel centro, ma metropolitane proiettate fuori dalla cerchia cittadina, collegate alla rete esistente, capaci di drenare il flusso di macchine inquinanti.
Se poi si sceglie la direttrice di Viale Zara o si collega Linate a San Babila non è obbligatorio buttare 1.600 milioni : una metro-tranvia di superficie in sede protetta e semafori dedicati allunga sì la percorrenza di qualche minuto ma consente di risparmiare il 90% dell’investimento.

Come si finanziano?La critica più sostanziale va alla scelta si usare veicoli societari pubblico-privati, i project financing, colpevoli di far lievitare di molto i costi dei normali appalti ed allo stesso tempo totalmente garantiti dal comune, mettendone in tensione il bilancio.
Al primo posto ci sono le esigenze di Astaldi, di Impregilo, della cordata finanziaria, rispetto a quelle dei propri cittadini.
(Salini/Impregilo ha comprato Astaldi con i finanziamenti della Cassa Deposito e Prestiti creando così il primo gruppo italiano per le grandi infrastrutture: c’è da credere che Milano sarà terreno di ulteriori conquiste).

Questi peccati originari non sono casuali.
Se si comprende in pieno il mostro giuridico impostato dal centro-destra della Moratti, alimentato dal centro-sinistra di Pisapia, esaltato dalla giunta di centro di Sala, si diventa consapevoli del destino che si vuole imporre a questa città.
Anche nelle nazioni del Nord Europa i capitali privati hanno libera circolazione, anche con un ruolo del pubblico, ma dove il concetto del rischio privato è sovrano. In Italia le grandi opere, dove si inseriscono le metropolitane pesanti, sono finanziate dalle banche che, non fidandosi di un capitalismo per nulla forte, chiedono la totale garanzia del pubblico, cioè delle future tasse pagate dai cittadini. Ne consegue lo scodellamento, appunto, di un mostro. Dove i privati sono coinvolti nelle cosiddette società miste, determinando un aumento dei costi e partecipando agli utili, ma le garanzie sono tutte a carico dello Stato e del Comune.

Lo dimostra chiaramente la vicenda in corso sulla M4:

Il Comitato per la legalità del Comune di Milano, presieduto da Gherardo Colombo nel luglio 2018 evidenzia che “Gli extra-costi complessivi ammontano a 200 milioni di euro circa, anche in considerazione dell’errore commesso inizialmente con riferimento alla stima degli oneri di sicurezza e alla progettazione della stazione di San Cristoforo”.
L’Anac, e la Ragioneria del Comune il mese precedente avevano già segnalato problemi sul bilancio comunale e sulla conseguente necessità di ricorso a “forme flessibili di indebitamento” per far fronte a maggiori costi “per un totale di 313 milioni di cui 139 a carico del Comune”.
Ricordando gli errori di progettazione e di gestione durante l’esecuzione dei lavori la relazione conclude: “Il Comitato non può fare a meno di evidenziare come, purtroppo anche a Milano, si sia dato spazio alla pessima abitudine di non concludere un’opera pubblica, per quanto imponente, entro la cornice determinata nella originaria progettazione, aprendo la strada (in questo caso, la metropolitana…) ad aumenti di spesa pubblica motivati da riserve e varianti (emergenti ovviamente sempre in corso d’opera e, quindi, post aggiudicazione mediante gara pubblica), senza che nessuno sia chiamato a rispondere di questo surplus di spesa, a cominciare da chi il progetto definitivo ha approvato”.

Le due metropolitane, così gestite, hanno lasciato pesanti canoni che il Comune dovrà pagare alle due società miste per i prossimi 23 anni, 230 milioni all’anno.
Con un bilancio così in affanno, che rischia sui servizi sociali fondamentali, “l’escamotage“ operativo trovato, per finanziare trasformazioni da spendersi elettoralmente, è stato quello di rastrellare, senza alcun criterio, la maggiore quota possibile di oneri di urbanizzazione

Urbanistica e finanza

Il “modello Milano”, che sta plasmando la città, si forma per la mancanza di coraggio politico nel forzare i parametri imposti da governi e dall’Europa, ma anche perché tutto il PD ha interiorizzato l’ideologia secondo la quale si deve sminuire il ruolo del pubblico per favorire quello dei privati. Ideologia già sconfitta dalla storia, ma imperante nel cosiddetto “Modello Milano”.
Ne consegue che questi peccati strutturali, avendo avuto origine nelle grandi opere sulla mobilità, si riproducono come impostazione sulle grandi scelte di trasformazione della città.
Così si favorisce prepotentemente sempre il project financing della Lendlease, quando si tratta di sacrificare la Statale e Città Studi per coprire il nascosto buco finanziario di Expo.
Oppure si regala un volume edificatorio dal valore di 1 miliardo alle Ferrovie dello Stato, abdicando a dirigere la trasformazione della città, per foraggiare un “prezioso” alleato, che, dopo aver acquistato un pezzo di M5, si candida, con ATM, a privatizzare l’intero comparto dei trasporti.
L’uso spregiudicato del mercato finanziario mondiale, l’attrazione benevola di Milano come la nuova Mecca dove tutto è possibile, perché nelle metropoli del Nord Europa i vincoli sono più stretti mentre qui molto elastici, ha la sua spinta nell’esausto bilancio del Comune.
Non a caso gli oneri a Milano sono sei volte inferiori a quelli di Amburgo, prima città europea per indice di competitività.
Da noi il futuro ecologico della città non interessa proprio, l’importante è far cassa per dimostrare “il fare” e allora le ghiotte occasioni dilagano a Milano.
Dall’enorme trasformazione che sconvolgerà Città Studi fino agli Scali Ferroviari, digerendo la “seccatura” per il vincolo su Piazza d’Armi, passando per tanti altri casi minori, ma non meno eclatanti e simbolici: Parco La Goccia, Piazza Baiamonti, Piazza Carbonari, Parco delle Cave, Ronchetto, fino al recente parco di Via Bassini e Via dei Ciclamini.
E’ necessario soffermarci sulle due più rilevanti trasformazioni.

La questione degli scali ferroviari è fondamentale per la sua ampiezza (1,2 milioni di mq), ma anche per le sue implicazioni.
Quelle enormi aree, le ultime disponibili per una trasformazione rilevante della città, erano state concesse a Ferrovie dello Stato per la sua funzione pubblica, quella dei trasporti. Funzione incompleta visto che storicamente non sono mai riusciti a chiudere a Ovest il cerchio attorno a Milano.
Essendo oramai dismesse e in grave disuso un’amministrazione coerente avrebbe dovuto espropriarle, orientandole a un uso pubblico. L’operazione è stata opposta. Si è accettato che FS cambiasse la sua funzione da ferroviaria a immobiliare, concedendo una forte impronta speculativa, che ha già arricchito partner privati, come il fondo Olimpia, quotato a Londra, con 20 milioni di plusvalenze.
Il Comune rinuncia alla sua funzione regolatrice, delegandola a FS che agirà più “liberamente” con i suoi partner privati.
Rinuncia anche a potenziali proventi per 1 miliardo, accontentandosi di 50 milioni, ma, in termini di potere, la giunta trova un tesoro.
Infatti FS e addentellati privati, foraggiati in chiave immobiliare, ritornano preziosi partner per mettere a sacco l’intero comparto del trasporto pubblico. La segretata operazione Milano Next, dove le società di FS hanno un ruolo importante, si ripromette di trasferire la gestione del trasporto pubblico dalla troppo efficiente mano pubblica a quella pubblica-privata. Sapendo l’uso perverso che viene fatto a Milano di questa impostazione.

San Siro: una partita aperta, una partita simbolica.
Milan e Inter non sono più due squadre di calcio, sono due veicoli societari tramite i quali, due fondi d’investimento stranieri, stanno tentando un assalto speculativo nella nuova Mecca internazionale del Real Estate. L’Holding cinese Suining Holdings Group (che controlla l’Inter) e il fondo statunitense Elliott (che controlla il Milan), vorrebbero infatti realizzare accanto al nuovo stadio un distretto alberghiero, uno commerciale ed uno residenziale grazie al raddoppio delle volumetrie previste.

Il Comune di Milano dovrebbe dunque perdere il suo stadio per permettere al fondo americano di “valorizzare” il calcio con acquisizioni volumetriche e poi aprire un’asta tra vari miliardari, tra i quali un arabo, un russo e anche un uzbeko? E’ questo il frutto del “modello Milano” che ha il “pregio” di attrarre chi pensa di avere mani libere in questa città?
Il nuovo stadio diventa quindi solo un pretesto per avere il raddoppio delle volumetrie immobiliari, oppure, dopo “adeguata” trattativa un “adeguato” aumento (il ricatto del leghista Bonomi, del trasferimento a Sesto San Giovanni, è finalizzato a questo risultato).

Questa poderosa calamita finanziaria che ha il “pregio” di vendere un bilocale a City Life a 900.000,00 euro, ma di rendere sempre più insopportabili gli affitti nella città per i redditi deboli, si condensa nella figura di un Sindaco, che non è un Sindaco – manager, ma un manager-Sindaco.
La glorificazione del’ex manager di Expo rappresenta con estrema coerenza la trasformazione genetica del PD milanese in un partito di centro, che vive la trasformazione finanziaria e urbanistica di Milano, attratta dai grandi eventi come Expo e Olimpiadi, come funzionale all’esercizio del proprio potere, ma non alle esigenze vitali dei cittadini.
Non abbiamo più a che fare con un centro-sinistra nell’accezione classica del termine, secondo la quale la preoccupazione verso i ceti popolari era comunque predominante.
Si è realizzata una giunta a partito unico, con addentellati insignificanti, incapaci di qualsiasi modifica sostanziale, ma con un forte apparato mediatico/istituzionale funzionale solo a spolverate d’immagine. Martellanti campagne fuorvianti e inconsistenti su partecipazione, trasformazioni urbane, ecologia, accoglienza, antifascismo, nel mentre le scelte strutturali di fondo vanno in direzione totalmente opposta.

Per far volare il “Modello Milano” si sono adottati un forte propulsore ed un comodo atterraggio.
Il propulsore è generato dai grandi eventi, capaci di attrarre l’attenzione mondiale, sostenuti da forti investimenti pubblici (da Expo alle Olimpiadi) e forti investimenti strutturali, totalmente a carico pubblico
L’atterraggio, assai comodo, per chi viene ad investire a Milano, è basato su oneri di urbanizzazione offerti come se la città fosse a fine saldi.
Oneri malamente raccattati che servono a volte per rendere più appetibile Milano, sostituendo un bilancio senza risorse, ma utili, più che altro, per costruire consenso politico per una giunta del “fare”.

Questa impostazione è stata esaltata dall’ultimo PGT approvato dal Consiglio Comunale.
Infatti il nuovo PGT, rispetto ai precedenti, è un forte salto in avanti nel processo di deregolamentazione della necessaria pianificazione pubblica. La conseguenza è che alla cessione alle scelte privatistiche su 1,2 milioni di mq., come effetto degli scali ferroviari, si aggiungono nuove aree, definite come grandi funzioni urbane, per 1,5 milioni di mq, dove l’urbanizzazione soffocherà le residue aree verdi.
Non c’è stato alcun blocco sui ritmi frenetici di consumo di suolo. La falsa bolla propagandistica sulla riduzione del 4% si riferisce al 4% dell’aumento. Pertanto una insignificante riduzione, visto che nel 2018 sono stati consumati 11 ettari per nuove costruzioni.
Si è aperta la strada alla possibilità di non ottemperare alle quote previste di case popolari, con il meccanismo della monetizzazione a favore delle casse del comune. Con un comune che favorisce un contenuto hausing sociale a favore dei ceti medi, tralasciando quasi completamente l’impegno per i ceti più disagiati, favorendone l’espulsione da Milano città. Ancora 2000 appartamenti comunali sfitti per mancata ristrutturazione.
Un PGT che, per favorire gli investimenti internazionali, punta sulla anti ecologica densificazione, utilizzando i nuovi grattacieli per permettere le volumetrie in altezza.
Ha creato molto disappunto anche la scelta di comprimere i già minimi giardini condominiali, con la possibilità di ridurre il previsto 10% di area filtrante, a quei palazzi che inseriranno piante, meglio definibili arbusti, su tetti o terrazze.
Nella sostanza un PGT che favorisce, per motivi finanziari del Comune, l’intensificazione delle costruzioni nel centro della metropoli, con l’inevitabile effetto di espellere dalla città gli abitanti più poveri.
Una visione totalmente opposta a quella che vogliamo delineare nel nostro documento, dove si dovrebbe pianificare l’intera metropoli, prevedendo più centri, ben collegati tra di loro, e una distribuzione non “arroccatta” dei ceti sociali privilegiati.
La nostra battaglia politica contro questo PGT durerà fino alle prossime elezioni, in quanto non è detto che certi danni non possano essere contenuti.
Diventerà essenziale, affinché si estenda una comprensione diffusa, che la sua critica generale si leghi a fatti specifici individuati nel nostro territorio.

Le conseguenze di questa sbandierata proiezione internazionale turbo si riversano su un bilancio comunale reso asfittico, che mette in crisi welfare e interventi di ogni tipo. Nessuno escluso.
Dalle case di proprietà che languiscono sfitte per mancanza di ristrutturazione, alla ridotta pianta organica dei vigili, anche perché dirottati a servizi centrali e a sostenere come polizia il nuovo DASPO, fatto per la città dei ricchi.
Dalla carenza di personale in tutti i settori, dall’anagrafe alle scodellatrici, passando da un decentramento municipale mantenuto vuoto di funzioni.
Dalla mancanza di posti negli asili infantili, fino all’assistenza sempre più affannosa verso disabili, anziani, soggetti senza fissa dimora, figure totalmente incapienti. Neanche viene abbozzata una mensa comunale per chi non riesce a sfamarsi.

Questa immagine mediatica da grandeur indubbiamente arricchisce i pochi ma non produce per i molti una sana gestione della macchina comunale.

Come cambiare questo scintillante ma disastroso senso di marcia?

Si tratta di varare una coalizione che, pur avendo in generale impostazioni politiche differenti, concordi su un percorso strutturale e istituzionale radicalmente diverso.
Un’alleanza ampia e alternativa, che abbia come nocciolo comune una condivisa visione della trasformazione della metropoli e si proponga di governare Milano.

Una vera rivoluzione ambientale

La conversione ecologica della società è oramai all’ordine del giorno, ma anche l’occasione di immagini propagandistiche senza sostanza. Dai 3 milioni di alberi, quando poi sono quasi tutti arbusti o ai carciofi coltivati in Piazza Scala per il Fashion Week della moda.
Ma la realtà è molto più preoccupante delle apparenze e l’aumento sensibile negli ospedali milanesi di malattie polmonari tra bambini e anziani lo sta a testimoniare. Del resto è un dato di fatto che la soglia per il PM10 è stata superata nel 2018 per 79 giorni.

Le trasformazioni serie, quelle che non vivono di illusioni ma possono cambiare le tendenze negative, si possono basare solo su un imponente piano metropolitano per la mobilità.
Un piano talmente ambizioso da non poter essere più caricato sul Comune città di Milano, ma deve avere come intelaiatura giuridica di supporto la Metropoli Milano, con poteri regionali.

La città di Milano non ha più bisogno che la sesta metropolitana passi nuovamente per ben due volte nel centro, con l’unico scopo di valorizzare ancora le stesse aree.
A Milano città il trasporto in superfice ha molti modi, meno costosi, per essere potenziato.
Il vero bisogno strategico è il fortissimo potenziamento metropolitano, pesante e leggero, nelle destinazioni periferiche, per drenare il traffico privato che si riversa sulla città.
Già sono previste varie estensioni.
La M1 e la M5 inoltrate nella Brianza, attraversando Monza, Bresso, Cusano, Cinisello e ancora la M1 verso Baggio e la M5 verso Settimo Milanese.
La M2 con il raggiungimento di Vimercate e la M3 quello di Cormano e Paderno.
Così come la nuova M4 nel futuro è orientata verso Corsico e Pioltello.
Il tutto più integrato nel sistema ferroviario, con il suo flusso di pendolari.
Queste prospettive devono essere maggiormente estese, soprattutto nel Nord di Milano, da dove proviene il maggior traffico privato.
Nel contempo deve aumentare il costo per penetrare con i veicoli privati in varie aree di Milano e non solo i veicoli inquinanti, così come devono aumentare gli abbonamenti dei trasporti pubblici per chi abita nel centro e calmierati i costi per chi arriva dalle periferie meno servite.

Ma il nodo di fondo, che permette di legare questi propositi a una esaltazione e non a un soffocamento del ruolo pubblico, è il meccanismo dei finanziamenti.
Fino a quando Milano sarà schiava di Banca Intesa e Unicredit, queste banche aiuteranno i loro clienti, determinando una subordinazione del pubblico agli interessi privati.
Per questo la vera rivoluzione ambientale si accompagna all’ottenimento di uno status regionale per la metropoli.
Questa dimensione permetterà di diventare un interlocutore privilegiato della BEI e collegarsi alla forte spinta ecologista che l’Europa sta producendo.
Basta pensare che il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS ) dovrà investire 500 miliardi nei prossimi anni.
Milano metropoli può diventare, per dimensione e potenza economica, un terreno fertile per far emettere “obbligazioni verdi” anche di lunga durata, anche a 50 anni e con tassi minimi.

Questa svolta, che accompagna l’autonomia istituzionale con quella finanziaria, può ri capovolgere il rapporto tra pubblico e privato. Ritornando all’impostazione basilare che è il pubblico a realizzare le grandi opere, senza ricorrere a impropri mercanteggiamenti (il project financing appunto) con banche e privati.
L’ATM, a totale capitale pubblico, deve tornare ad essere l’unico soggetto abilitato a questo espansivo piano trasporti, senza intrusioni indesiderate, come previste da Milano Next.
Il potere negoziale della Regione Milano potrebbe diventare tale, da indurre a una totale pubblicizzazione di M5 e M4, con la fuoriuscita dei privati artatamente prima inseriti.
Solo con una visione a conduzione fortemente pubblica, che rompa con tutte le reti di contenimento privatistico, si può immaginare una vera svolta verde, salutare sul fronte ambientale come su quello occupazionale.
In caso contrario si tratta solo di furbeschi palliativi elettorali.
Ma questi li lasciamo all’impostazione centrista di Sala, che non sarà per nulla diversa rispetto a quella di Renzi.

Un’urbanistica socialmente utile

Dentro una raggiunta dimensione metropolitana, anche l’urbanistica cambia orientamento e deve ritornare al suo ruolo di pianificazione sociale.
Nel mentre Milano città non deve essere usata per “fare cassa”, svendendo il suo territorio residuo e intasandola di ulteriore e nociva congestione. Elargizioni volumetriche sconsiderate per poter lanciare dall’alto una serie di aggiustamenti territoriali, spesso slegati dalla maturazione di effettivi bisogni popolari.
Si deve capovolgere la filosofia imperante, che è quella di concentrare nell’epicentro della metropoli l’intervento per abbellire la città dei ricchi a spese della salute di tutti.
Questa svolta si ottiene eliminando dal Piano di Governo del Territorio ormai obsolete premialità volumetriche legate insieme ad un maggiore regia pubblica nel trasferimento di volumetrie mediante perequazione.
Ogni deroga deve poi essere preventivamente discussa nel Consiglio comunale in luogo della sola Giunta.

Il diritto alla casa

A fronte di un’accentuata proiezione di Milano città in una dimensione esclusiva, rimane franoso il dramma della mancanza di case per i ceti più popolari.
Nonostante che un passato più umano abbia consegnato al pubblico un enorme patrimonio immobiliare: 29.000 appartamenti di proprietà del Comune e 71.957 unità immobiliari di proprietà di Aler tra città e metropoli.
Da quando il Comune di Milano ha assunto la gestione diretta, tramite MM, delle case di sua proprietà la situazione è migliorata. Anche se non è stata ancora risolta, dopo 8 anni, la scandalosa situazione di 1.900 appartamenti sfitti, per mancanza di ristrutturazione.
Una situazione indecente non solo dal punto di vista sociale, anche da quello patrimoniale, in quanto gli affitti coprirebbero in tot anni tali costi, per cui c’è anche un danno erariale.
Ma oltre questa simbolica degenerazione si tratta di prospettare un nuovo grandioso piano di edilizia popolare, che svolga una funzione compensativa rispetto a una città che si espande per i ceti privilegiati.
Come per l’ecologismo, il prospettato intervento nelle periferie è solo una furba illusione, se non si affronta di petto il tema dell’abitazione.
Anche in questo caso, per serietà progettuale, diventa decisiva la trasformazione in una dimensione istituzionale regionale.
In questo modo le proprietà dell’ALER, gestite malissimo, rientrerebbero sotto un’unica centrale operativa pubblica.
Sarebbe solo l’inizio per ristrutturare l’intervento pubblico sul fronte dell’abitare.
Investendo e ampliando ciò che si è fermato da anni, senza delegare tutto al mercato, ma anche risanando ciò che è stato mal gestito.
Facendo anche presente che una quota consistenti di abusivi, che non permettono un giusto turnover, sono coloro che continuano ad occupare case popolari, pur con un reddito superiore alla norma.

Quale partecipazione?

Siamo stati abituati, dalla potente macchina mediatica del Comune articolata sui post di questo o quell’assessore, sulle veline di blog appositamente costituiti, financo sul Politecnico stesso (beneficiario di molteplici incarichi a chiamata diretta) . Si magnificano sempre decisioni già prese .

Noi invece pensiamo che la partecipazione sia una cosa seria, che si debba condurre pianificando risorse definite, con tempi adeguati e con strumenti decisionali effettivi.
Pianificare un’effettiva partecipazione popolare vuole dire garantire ad ogni municipio fondi certi per più anni. Far votare la popolazione sulle priorità. Affrontare a più riprese, con il dovuto tempo, i progetti di trasformazione urbanistica. E, alla fine, se emergono evidenti difformità di vedute farle votare.
In questo modo la popolazione potrebbe anche sentirsi parte attiva di un’istituzione.
Ma si sottrae a qualcuno la possibilità di farsi utili spot elettorali.

Una rivoluzione istituzionale

Mobilità, urbanistica, casa sono solo tre dei tanti campi dove si evidenzia la necessità di un’unica e potente impostazione operativa, capace di coinvolgere 4 milioni di abitanti (compresa la Brianza) e non solo una cerchia cittadina troppo ristretta e soffocata. Ne più e ne meno come le città europee con le quali ci si confronta non alla pari: Berlino, Parigi, Londra.

Se si affronta, per esempio, il decisivo terreno della sanità è evidente che solo lo scorporo dalla Regione Lombardia può permettere un futuro più pubblico, dove gradualmente ma decisamente, abbiano sempre più spazio le eccellenze ospedaliere pubbliche e si riducano le quote di mercato degli ospedali privati.

Se poi si vogliono affrontare le trasformazioni economiche, con le crisi e le incentivazioni alle innovazioni, come la cultura, lo sport, in generale tutto il welfare, il discorso non cambia.

Dopo decenni nei quali i “progressisti” hanno cercato malamente di dimostrare che le dinamiche di mercato avrebbero creato un radioso futuro, nella generale crisi che stiamo attraversando, è fondamentale dimostrare che, se lo si vuole politicamente, le strutture pubbliche possono funzionare a dovere.
Dopo la trasformazione della Provincia in Città Metropolitana si è però accentuata una grave crisi gestionale.
Infatti la Città Metropolitana, svuotata di risorse e poteri in parte trasferiti alla Regione, è diventata un ectoplasma senza passato e futuro.
Inoltre il Comune di Milano ha dovuto, per legge, costituire i 9 Municipi, al posto delle zone.
Ma sotto gli occhi di tutti questi municipi sono diventate scatole senza alcun potere operativo, come hanno i Comuni nell’hinterland di Milano.
Nella sostanza si è creato un groviglio di poteri, reali o presunti, che si sovrappongono creando un’ enorme confusione burocratica e appesantimento operativo.
Per cui in molti campi decisionali, soprattutto quelli strutturali e decisivi, si assiste a un confronto/scontro tra quattro livelli burocratici.
I 9 Municipi di Milano, la Città di Milano, la Città metropolitana e la Regione Lombardia.
Pensare di poter fare trasformazioni radicali di questa metropoli, con questa sovrapposizione operativa è irrealistico.

Nasce quindi la necessità storica, da confermare con un Referendum, che la Metropoli di Milano sia dotata di poteri regionali, con la conseguenza che la Regione Lombardia, ma anche il Comune di Milano, trasferiscano poteri, patrimoni e risorse, a un unico centro decisionale.
Un unico centro decisionale regionale che dia molto più spazio e potere di prossimità all’unico altro livello istituzionale, formato dai comuni della metropoli e dai municipi di Milano.

A questo si aggiunge anche il fatto che la natura politica dei diversi livelli istituzionali è spesso opposta e questo di certo non facilità una positiva operatività decisionale.
Seppur la crisi gestionale riguarderebbe anche i 4 livelli dello stesso colore politico. Perché, appunto, la questione è più burocratica che politica.

Ne consegue che la nostra proposta fatta di radicali riforme su tutti i campi, si connette con il bisogno strategico di una riforma istituzionale: Milano Metropoli Regionale.
Un collegamento che avrebbe, tra l’altro, forti implicazioni mediatiche.

In conclusione la critica al “Modello Milano” si deve accompagnare all’elaborazione e promozione della nostra visione di una Milano dove sia prioritaria la giustizia sociale e il sostegno alle aree sociali più deboli.
Una visione da contrapporre alla Milano reazionaria, di Albertini e Moratti, come alla Milano Global city di questa ultima amministrazione.

Milano, 18/12/2019

Approvato all’unanimità
Dal Coordinamento di Milano in Comune del 18/12/2019